Un cast stellare ha accompagnato la première veneziana di Everest, film d’apertura della 72° Mostra del Cinema. Jake Gyllenhaal, Josh Brolin, Jason Clarke, Emily Watson e John Hawkes hanno infiammato il Lido in questa prima giornata di festival e hanno incontrato la stampa in un’affollatissima conferenza. Insieme a loro, c’erano anche i superstiti della spedizione raccontata nel film e ovviamente il regista islandese Baltasar Kormàkur, che ha raccontato tutte le difficoltà affrontate durante le riprese.
Baltasar Kormakur – Venezia 2015
Il film non si sofferma su un solo personaggio ma dà a tutti la stessa importanza. Come mai questa scelta? Baltasar Kornàkur: Volevo realizzare un film corale. E’ stato scritto e detto molto sulla spedizione del 1996 che raccontiamo nel film, ma io volevo tentare qualcosa di diverso. Non volevo un punto di vista soggettivo, volevo essere realistico e realizzare un ritratto di tutte le persone coinvolte. L’obiettivo era raccontare la storia di un gruppo con tutte le dinamiche interne.
Una domanda per gli attori: come vi siete approcciati all’interpretazione di personaggi reali? Vi siete confrontati con loro prima delle riprese? Emily Watson: A me attirano molto queste sfide. In questo caso ho parlato a lungo con la vera Helen, e tutto quello che dico nel film è basato interamente su conversazioni realmente avvenute.
Jake Gyllenhaal: E’ una grande responsabilità raccontare una storia realmente accaduta. Nel momento in cui ho accettato il ruolo di Scott Fischer, non avevo ben capito cosa mi aspettava. Mi hanno contattato i figli di Scott, perché erano un po’ preoccupati di come avrei interpretato loro padre. E’ come se avessi sentito lui attraverso i suoi figli. Con loro abbiamo parlato più volte dell’essenza della spedizione, ma poi i dettagli li abbiamo aggiunti noi.
Jake Gyllenhaal – Venezia 2015
Josh Brolin: E’ una responsabilità enorme. Quando si tratta di persone che non ci sono più, è normale che ci sia la preoccupazione di non essere adeguatamente rispettosi. Ma il regista è stato molto bravo, soprattutto con noi attori. Ha cercato di farci entrare in contatto con la natura per farci trasmettere sentimenti veri. La finzione è inevitabile quando giri un film, ma abbiamo tentato in ogni modo di ridurre al minimo la simulazione. John Hawkes: Quando porti sullo schermo una storia vera, bisogna sempre fare di tutto per raccontare la verità. E’ stato un lavoro duro, ma ci abbiamo provato in ogni modo.
Kormàkur, nel film sono servite le sue “origini islandese”? Baltasar Kormàkur: Assolutamente sì. Ho portato con me il clima islandese. Quando ero bambino, affrontavo spessissimo intemperie, alcune correvo il rischio di essere addirittura spazzato via dal vento. Ho cercato di trasmettere le mie sensazioni, portandole a 9000 metri d’altezza.
Nonostante le “dimensioni” del film e lo spettacolare 3D non ha utilizzato molti effetti speciali… Baltasar Kormàkur: E’ stata una scelta chiara sin dall’inizio. Volevo che lo spettatore si sentisse lì sulla montagna e che gli attori assorbissero dalla natura. Il mio obiettivo era trasmettere la fatica, lo sforzo fisico. In alcuni momenti abbiamo girato anche a -60°, ma nel momento in cui ci siamo resi conto che sarebbe stato rischioso continuare a girare in queste condizioni, ci siamo spostati in studio. Ci tengo a sottolineare che nessuno ha mai corso pericoli.