Semplicemente, un mito. Brian De Palma è uno di quei pochi maestri del cinema che oggi potremmo definire tale. Perché non è stato e non è soltanto un Autore, un regista dal tocco inconfondibile che ha portato sulla schermo una sua poetica personale. De Palma ha rivoluzionato l’estetica cinematografica senza mai pensare solo a se stesso, ma al contrario tenendo sempre in considerazione il pubblico, l’evoluzione del suo gusto, il suo bisogno di spettacolo. I suoi film sono tanto capolavori quanto pellicole di culto, molte sequenze da lui girate sono rimaste indelebili sia per i più accaniti cinefili sia per lo spettatore medio, i suoi personaggi vengono tanto studiati all’università quanto “venerati” sui poster che campeggiano nelle stanze di giovani e meno giovani.
Per questo il suo arrivo, ieri, alla Mostra di Venezia ha scatenato l’entusiasmo di tutti. Sbarcato al Lido per ricevere il premio Jaeger-LeCoultre “Glory to the Filmmaker”, consegnatogli in serata nella Sala Grande del festival, De Palma è stato accolto da una vera standing ovation, una di quelle accoglienze che solo i grandi meritano, ed è stato omaggiato dal documentario firmato dalla coppia di registi Noah Baumbach e Jake Paltrow. De Palma, questo il titolo del film. Un titolo tanto semplice quando il documentario stesso: il ritratto di un regista ottenuto solamente montando le sue parole con le scene dei suoi film. L’autore di Vestito per uccidere ripercorre così tutte le tappe della sua carriera, racconta aneddoti, spiega e rilegge i suoi (capo)lavori. E il risultato è una vera e propria lezione di cinema, entusiasmante e divertente.
A divertire il pubblico è stato anche un altro film, presentato in concorso, firmato da un regista che per idea di cinema si può accostare facilmente a De Palma. Ci riferiamo a 11 Minutes del polacco Jerzy Skolimowski, che ha letteralmente elettrizzato il pubblico della Mostra. Il film è un divertissement dalla regia perfetta, che tiene attaccati alla poltrona e ipnotizzati davanti alla schermo, e dietro la sua apparenza di giocoso esercizio di stile, cela una profonda critica alla società di oggi, bombardata dalla moltiplicazione di immagini. 11 Minutes racconta appunto gli undici minuti di vita di un gruppo di persone a Varsavia, una serie di storie che vanno ad incrociarsi nel caos dell’esistenza contemporanea. “Questo film è una risposta agli action movie hollywoodiani – ha dichiarato il conferenza il regista ultrasettantenne – mi sono divertito molto a realizzarlo, anche se non è stato semplice scrivere la sceneggiatura”. Una sceneggiatura ad orologeria messa in scena sullo schermo con mestiere e originalità. Qualità queste che fanno di Skolimowski e del suo film uno dei candidati per la vittoria finale.
L’autore polacco, per quanto presentato sinora al festival, se la vedrà sicuramente con Amos Gitai, Charlie Kaufman e il russo Sokurov, ma anche con il film Heart of a Dog, anch’esso passato nella giornata di ieri. La pellicola di Laurie Anderson è un film-saggio dalla cifra sperimentale, un flusso di coscienza in immagini (e parole) che riflette sull’esistenza citando Wittgenstein e trattando tematiche come il problema della sicurezza negli Stati Uniti. Un film dalla difficile fruizione, ma a suo modo affascinante e sorprendente.
Per un film ermetico e dai numerosi sottotesti, eccone invece un altro chiaro e diretto che vuole raccontarci una dura verità senza alcun tipo di filtro. Parliamo di Torn, primo documentario di Alessandro Gassmann, proiettato ieri sera al Cinema nel Giardino. L’attore e regista italiano firma un breve film sulla tragedia di cui sono vittime gli artisti siriani, costretti ad emigrare in altri paesi per sopravvivere (e per potersi esprimere liberamente). Un documento necessario, toccante e dall’importante valenza pedagogica, che speriamo possa esser visto da molti.