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Spider-Man: Homecoming. L’eroe springsteeniano della classe operaia

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Chi avrebbe mai pensato che la nostra generazione avrebbe visto, in soli 15 anni, già tre Spider-Man avvicendarsi sul grande schermo? Quella dell’Uomo Ragno al cinema è la saga che più di ogni altra è ripartita, si è reinventata, ed è ringiovanita. Spider-Man: Homecoming, nuovo reboot della storia dell’arrampicamuri, riporta tutto all’inizio, e sceglie di raccontarci un Peter Parker quindicenne, in piena adolescenza, terra di mezzo in cui ogni problema diventa enorme. Figurarsi i superproblemi che hanno tipicamente i supereroi Marvel. A interpretarlo c’è Tom Holland, 21 anni, ma ne dimostra molti di meno, e alla regia c’è Jon Watts, due soli film all’attivo. Arrivano dopo i tre film con Tobey Maguire diretti da Sam Raimi, e i due con Andrew Garfield diretti da Marc Webb. Già i film di Webb provavano a rilanciare l’Uomo Ragno in chiave teen movie: Spider-Man: Homecoming si spinge ancora più in là, ispirandosi ai film di John Hughes (Breakfast Club, Sixteen Candles), probabilmente alla ricerca di un target a cui Spider-Man si presta molto. Non a caso Robert Downey Jr./Tony Stark, in Captain America: Civil War, il primo film in cui abbiamo visto lo Spider-Man di Holland, lo chiama “bimbo ragno”.

Ma Spider-Man: Homecoming è anche il primo film stand alone in cui l’uomo ragno “torna a casa”. Se “homecoming” è il titolo dato al ballo di fine anno che stanno organizzando al liceo di Peter, la parola sta anche a significare il ritorno dell’Uomo Ragno nel mondo Marvel. Per la prima volta, dopo la comparsata in CaptainAmerica: Civil War, Peter Parker si muove nell’universo cinematico Marvel, quello in cui il mondo è pieno di supereroi, la gente li conosce e ci è abituata. Non è una cosa da poco: a parte il fatto di saltare i preliminari, cioè la nascita del supereroe e l’acquisizione dei poteri, un classico di tutte le prime volte di un eroe dei fumetti al cinema (qui si va dritti all’azione, risparmiando molto tempo), è tutta la storia ad essere influenzata da questa scelta. A partire dall’oggetto del contendere, dei materiali di tecnologia aliena recuperati da dei criminali sul luogo della battaglia del primo Avengers, a New York, per arrivare all’interazione con alcuni Avengers. Se tutti vengono citati nei dialoghi o con altri riferimenti, la relazione più importante di Spidey è quella con Tony Stark/Iron Man: è lui il suo demiurgo, il suo mentore, se vogliamo anche il padre che non ha più. Un rapporto con una figura paterna così importante non lo avevamo ancora visto nei film dell’Uomo Ragno, ed è una delle grandi novità di questo nuovo corso. Il che permette, e non è poco, di mettere spesso in scena un attore strepitoso come Robert Downey Jr., che, lo sappiamo, accende ogni film della Marvel a cui partecipa, faccia parte della franchise di Iron Man, di quella degli Avengers o entri in un film di Captain America. Downey Jr. è il vero valore aggiunto di questo film. Va un po’ meno bene al Captain America di Chris Evans, usato come testimonial di educazione (fisica, sessuale ed altro) nelle scuole, in video promozionali dal sapore un po’ ironico, verso di lui come verso un’America un po’ conservatrice e bacchettona.

L’altra novità, già provata nel precedente corso, The Amazing Spider-Man con Andrew Garfield, ma qui percorsa con decisione, è il tono del racconto, decisamente da teen movie, con un occhio alla commedia degli anni Ottanta, quella di John Hughes, che Kevin Feige, numero uno della Marvel, avrebbe indicato come modello di riferimento al regista. Gli elementi ci sono tutti: il ballo di fine anno, i ragazzi insicuri (potremmo chiamarli nerd) e soli, la bella amata in silenzio, i bulli e i rivali in amore. E molto, molto umorismo. La sorpresa è che tutto questo si integra alla perfezione con il lato action del film, in cui, e anche questa è una novità, il nostro eroe sembra spesso impacciato, ancora incapace di usare i propri poteri e la propria tuta che – modificata ad arte da Tony Stark – stavolta ha più gadget di quella di Batman. Ma il suo problema non è solo la tuta. Spesso è voglia di strafare, di dimostrare, da ultimo arrivato, di far parte dei “grandi”, cioè gli Avengers. E il tema del film è proprio questo: quella voglia di bruciare le tappe, di crescere in fretta, di arrivare subito che è tipica di un’età come l’adolescenza. In questo senso, il racconto, costruito molto bene, oltre che divertente è anche complesso: non ci sono solo, l’eroe, la bella, il cattivo (qui è Michael Keaton, nei panni e nelle ali dell’Avvoltoio dopo essere stato già Batman e.. Birdman) e la zia (che, anche qui musica nuova in cucina, è la supersexy Marisa Tomei), ma attorno a Peter gira un vero gruppo di amici, multietnico e ben disegnato, e una figura paterna come Tony Stark.

Spider-Man: Homecoming è un film sulla crescita e sull’imperfezione. Anche la New York in cui si muove, al ritmo punk dei Ramones (Blitzkrieg Bop) non è quella di Manhattan ma quella del Queens. È un film che piacerà ai teenager (ma non portateci i bambini troppo piccoli, potrebbero chiedervi che cos’è un porno..). E piacerà anche ai grandi, a patto di scordarci dello Spider-Man di Raimi: questo è un’altra cosa, ma funziona. E tanto basta. In fondo, anche i più grandi non avranno dimenticato di quando erano al liceo, magari amavano di nascosto una ragazza più bella e più grande, e magari non si sentivano adeguati. Il Peter Parker di Tom Holland è tutto questo. Con “quell’aura da eroe springsteeniano della classe operaia” (la battuta, tra le migliori del film, è ovviamente di Downey Jr./Tony Stark) ci piace molto.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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