Tanto tempo fa, più o meno tre secoli prima di George Lucas, in una galassia in fondo non troppo lontana, Giambattista Vico teorizzava che la Storia si andasse ripetendo ciclicamente, e che alcuni avvenimenti si ripetessero secondo medesime modalità, anche a distanza di tempo. Il mondo di Star Wars, in fondo, è così. È evidente sin dalle prime battute di Star Wars: Gli ultimi Jedi, l’attesissimo Episodio VIII della saga, diretto da Rian Johnson, dal 13 dicembre nelle sale. C’era una volta l’Impero, che aveva soppiantato la Repubblica. Poi la Resistenza aveva vinto, ed era tornata la pace. E poi è arrivato il Primo Ordine che ha preso il potere, come il vecchio Impero. E la Resistenza è tornata ad opporsi. In Star Wars: Gli ultimi Jedi a guidarla c’è il Generale Leia (Carrie Fisher), aiutata dai nuovi eroi Finn (John Boyega) e Poe Dameron (Oscar Isaac). Rey (Daisy Ridley), la ragazza che nell’Episodio VII aveva trovato in sé qualcosa di simile alla Forza, è andata a cercare Luke Skywalker, l’ultimo Maestro Jedi, nell’eremo in cui si è ritirato. Ma trova qualcuno molto diverso da quello che si aspetta…
Nell’universo di Star Wars è ciclico anche il ripetersi dei ruoli, un continuo passaggio di testimone tra generazioni. Luke Skywalker, che avevamo visto come padawan nella trilogia originale, è ora anziano come Obi Wan Kenobi, che era stato il suo maestro, e a sua volta è diventato un maestro. Se Episodio VII: Il risveglio della Forza ricalcava con troppa riverenza il canovaccio di Episodio IV: Una nuova speranza (il film che noi abbiamo sempre conosciuto come Guerre stellari…), Star Wars: Gli ultimi Jedi prova a rompere gli schemi, a deviare dalla strada principale per andare su sentieri meno battuti. La nuova anima di Star Wars è tutta nel personaggio di Luke: la sua riluttanza, la riottosità, i suoi dubbi lo rendono un Maestro Jedi così diverso dai maestri come Yoda e Obi Wan Kenobi. Dall’altro lato, il Lato Oscuro della Forza, Kylo Ren (Adam Driver) è un villain con l’ansia da prestazione, un ragazzo interrotto, combattuto ed eternamente all’inseguimento del suo mito, Darth Vader, di cui non si sente all’altezza. La novità della terza trilogia di Star Wars sta proprio qui: se nelle precedenti, al netto del passaggio di Anakin/Dath Vader al Lato Oscuro, buoni e cattivi erano ben distinti, erano il bianco e il nero, qui i contorni sono sfumati. Entrambi sono assaliti da dubbi, e attratti gli uni dagli altri, camminano costantemente su un filo che potrebbe farli passare dall’altra parte.
Ma non si tratta solo di questo. Star Wars: Gli ultimi Jedi trova nuovi risvolti nella Forza. Per la prima volta la saga prova a farci entrare nella Forza, a visualizzarla, a farcela percepire, sia nel suo lato chiaro che nel Lato Oscuro: movimenti, luoghi, visioni, sensazioni. Rian Johnson prova a metterci nei panni degli Jedi o degli aspiranti tali. In questo nuovo Episodio VIII la Forza è anche un modo di mettersi in contatto: Kylo Ren e Rey, l’uno la nemesi dell’altro, riescono a “sentirsi” in un modo che va oltre la telepatia, non è solo leggere nel pensiero, è anche vista, tatto, è entrare profondamente in connessione l’uno con l’altro.
E proprio in questo loro cercarsi, sentirsi, sfidarsi Kylo e Rey, Male e Bene, sono gli estremi su una linea che si chiude a cerchio, e quindi sono destinati a toccarsi. Profondamente legati da qualcosa, forse un’origine comune, forse il loro essere unici nella Forza, potranno combattersi, o finire insieme, da un lato o dall’altro. Accanto a loro c’è un Eroe che mette in dubbio la leggenda degli Jedi, la demolisce, ne trova i punti deboli nella superbia. Il Luke Skywalker di Star Wars: Gli ultimi Jedi è un eroe stanco, o un antieroe, un uomo fallibile che ci parla di vanità, paura, odio. Insieme a lui, assistiamo al film assaliti dal dubbio, disorientati, con il terreno di certezze che ci eravamo fin qui costruiti che ci crolla sotto i piedi. Forse Luke e i cavalieri Jedi hanno fallito. Ma il fallimento è il più grande maestro.
Forse Star Wars: Gli ultimi Jedi non sarà l’episodio migliore tra quelli che hanno seguito la trilogia originale (quella lasciamola stare: come Blade Runner, è nata in un’epoca irripetibile per il cinema), ma è sicuramente il più originale, il più coraggioso, il più sorpreso e sorprendente. L’Impero colpisce ancora? Come diciamo sopra, il paragone è improponibile. Eppure ha di quell’episodio alcuni toni cupi, il senso di minaccia e di disfatta imminente, i momenti di addestramento. Rispetto al leggendario Episodio V manca un senso di coesione, un tono costante: il film di Johnson ondeggia tra le tinte scure de L’impero colpisce ancora e altri momenti più leggeri della saga, prova a creare nuovi mondi (la città del divertimento), e nuove creature bizzarre, in grado di competere con gli Ewoks ed entrare nel cuore dei più piccoli (l’effetto Jar Jar Binks è sempre dietro l’angolo, ma ci sembra scongiurato). Mentre alcuni toni più leggeri e quasi comici, quasi da film Marvel, rischiano a tratti di spezzare l’atmosfera. A tenere dritta la barca, pardon l’astronave, ci sono le ottime prove degli attori: Carrie Fisher, alla cui memoria è dedicato il film, è una Leia sensibile e saggia, e Mark Hamill è un Luke inedito, dolente e carismatico, intenso e ricco di sfaccettature che quarant’anni fa non aveva avuto modo di farci vedere. I nuovi protagonisti, Adam Driver e Daisy Ridley, sembrano già dei classici. Accanto a loro spicca una Laura Dern dai capelli viola, dopo un Twin Peaks in biondo platino: se pensiamo che David Lynch avrebbe dovuto girare Il ritorno dello Jedi, il cerchio si chiude.
Rian Johnson, che avevamo conosciuto con Looper, osa più del suo predecessore J.J. Abrams, è meno ossequioso verso la materia originale, e i risultati si vedono. Per J.J. non sarà facile adesso girare l’episodio che chiuderà la saga, prima di passare ad altri spazi nell’universo. Johnson oscilla tra cadute di gusto e trovate geniali, tra fan service (alcune trovate sono esaltanti e ci scaldano il cuore) e colpi di scena ad effetto. E alcune visioni ispiratissime, come quell’esplosione in silenzio, o quella battaglia fatta di scie rosse nel pianeta di sale. Accanto al nero, il rosso è uno dei colori dominati di Star Wars: Gli ultimi Jedi. Come in quella red room (o redrum?), la stanza rossa che è il quartier generale di Snoke (Andy Serkis), degna di un film di fantascienza degli anni Settanta, o di una visione di Kubrick. In tutto questo, Johnson rimane fedele all’universo di Star Wars e a quella sua tecnologia vintage, che è il futuro come lo abbiamo immaginato nel passato. Tra combattimenti di X-wing e colpi di spada laser, Star Wars: Gli ultimi Jedi ci parla di tentazioni, istinto, vergogna e tradimento. E nel cinema blockbuster di oggi non è cosa da poco, credeteci. Buona visione. E che la Forza sia con voi.