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Black Mirror 4. Il nostro futuro. Ai confini con la realtà

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Preparatevi per un viaggio Ai confini della realtà. Paragone abusato, certo. Ma Black Mirror, la serie antologica creata da Charlie Brooker, disponibile ora su Netflix, è davvero l’erede del famoso telefilm degli anni Sessanta. In comune hanno l’unicità di ciascun episodio, e con essa la sorpresa, lo stupore e l’attesa per lo svelamento del mistero che accompagnano la visione di ogni racconto. E, ovviamente, il carattere spesso fantascientifico di ogni singola storia. Ma, volendo essere più precisi, il sottotitolo di Black Mirror (il titolo fa riferimento allo schermo nero, quello nei nostri pc e dei nostri smartphone, ormai le nostre interfacce con gli altri e con il mondo) potrebbe essere ai confini “con” la realtà. Perché le storie sono ambientate in futuro che è vicinissimo. E proprio questo le rende molto verosimili, addirittura quasi plausibili. Il futuro di Black Mirror non è quello di un Blade Runner, o di un A.I., è semplicemente il domani, anzi l’oggi, solo tra qualche minuto. Al di là del quid tecnologico che è al centro della storia, il futuro si discosta dal presente per qualche dettaglio – porte digitali che ci fanno interagire con i visitatori, camion che si guidano da soli -.ma il mondo in cui siamo è a tutti gli effetti il nostro.

Ma che cosa ci racconta allora Black Mirror 4? Solitudini digitali e alienazioni virtuali, ossessione per il controllo, archiviazione dei ricordi, amore e sesso ai tempi del digitale, sistemi di sorveglianza spietati, trasferimento di emozioni, sensazioni, coscienze da un corpo a un altro. USS Callister, l’episodio 1, parte in quarta con una perfetta ricostruzione della fantascienza vintage di Star Trek, con un grottesco emulo del Capitano Kirk e un improbabile equipaggio. Semplice parodia? Non proprio, siamo sempre in Black Mirror: verremo trasportati in un vortice tra vita reale e virtuale, in un mondo dove il digitale può essere la rivalsa sulla vita reale, ma anche lo scollamento della stessa. In Arkangel, l’episiodio 2 (diretto da Jodie Foster), seguiamo le vicende di una madre piuttosto ansiosa che installa un microchip nella testa della figlia di tre anni: in questo modo, attraverso un tablet, può controllare la sua posizione, le funzioni vitali, ma anche vedere in soggettiva, come se avesse i suoi occhi, quello che sta facendo, o porre dei filtri a quello che vede lei. Il rischio è di privarla delle emozioni, ma anche di vedere alcune di quelle cose che, come sappiamo, un genitore è meglio non veda mai. Soprattutto quando arriva l’adolescenza. Crocodile, terza storia dell’antologia, ha al centro uno di quei fattacci che nella vita si farebbe di tutto per dimenticare: il punto è che non c’è solo la coscienza a ricordarcelo, ma anche un sistema che rende la nostra memoria accessibile a tutti.

Ma tutti, già dall’annuncio della Stagione 4 di Black Mirror, ci siamo subito chiesti: ci sarà un nuovo San Junipero? Una nuova storia, cioè, che come l’episodio della Stagione 3, racchiuda romanticismo, atmosfere sognanti (come gli anni Ottanta riescono immediatamente ad evocare), andamento pop e anelito alla vita eterna, con un retrogusto di ottimismo. Se un nuovo San Junipero non può esserci, Hang The Dj ci si avvicina molto: racconta la ricerca dell’anima gemella da parte di un ragazzo e una ragazza, affascinanti, ironici e impacciati, e soprattutto intimoriti dal “Sistema” che, nel mondo dove si trovano, regola le relazioni di coppia. Un coach automatizzato accoppia uomini e donne e li fa vivere insieme per un tempo già determinato – possono essere 12 ore, ma anche 5 anni – per poi incamerare dati e arrivare all’accoppiamento tra le due persone più compatibili. Romantico, sexy, misterioso e intrigante, Hang The Dj ha una soluzione semplice ma curiosa, e sì (proprio come San Junipero, dove c’era Girlfriend In A Coma) si sentono gli Smiths: la frase del titolo è tratta dalla famosissima Panic, che recita “bruciate le discoteche, impiccate quei benedetti d.j. perché la musica che mettono in continuazione non mi dice nulla della mia vita”. Anche qui, credeteci, avrà un senso.

Ma ritroviamo qualcosa di San Junipero anche in Black Museum, l’ultimo dei sei episodi di Black Mirror. Se l’atmosfera è agli antipodi – opprimente, claustrofobica, disturbante – si parla sempre di trasferimento delle coscienze da un soggetto a un altro, di vita che continua al di là del nostro corpo: un museo degli orrori è l’occasione per raccontare tre storie di questo tipo, con un finale, ancora una volta, a sorpresa. È struggente anche l’ultimo fotogramma di Metalhead, l’episodio V, vero e proprio film d’azione in bianco e nero, una vera e propria caccia a un gruppo di ladri da parte di un gruppo di sentinelle molto particolari, un racconto teso e lineare che punta tutto sulla suspense.

È l’episodio più breve della quarta stagione, 40 minuti, contro l’ora e 15 del primo, USS Callister. Le due storie, opposte anche nella forma (il colore ipersaturo e le immagini sgranate nella perfetta ricostruzione dei primi Star Trek contro un bianco e nero netto e spietato), ci mostrano come in Black Mirror ci sia la più ampia libertà di svolgimento. Conta l’unità tematica della serie, la tecnologia come opportunità o rischio. Le sei opere sono dei veri e propri minifilm, ma stanno a un lungometraggio cinematografico come una novella, o short story, sta a un romanzo. Della novella le opere di Black Mirror hanno la concisione, il senso di attesa e soprattutto, aspetto immancabile, l’epifania, cioè lo svelamento finale, che dà il senso alla nostra attesa e la risposta alle nostre domande.

Se Black Mirror è un successo tale che, in sceneggiatura, si permette anche di ironizzare su se stesso (nell’episodio 1 si fa riferimento a una serie in onda su Netflix, mentre nell’episodio 6 si parla di una clinica che di nome fa, guarda un po’, San Juniper), ogni minifilm è chiaramente un gioco di rimandi. Se USS Callister è un dichiarato omaggio a Star Trek, ci ha fatto anche pensare a Nirvana, per i personaggi con una coscienza, e a eXistenZ, per la vita virtuale che si sovrappone e confonde a quella reale. Arkangel ci riporta a 1984 di Orwell: il Grande Fratello può essere in ognuno di noi, basta dotarci di chip e tablet. Metalhead ci mostra un nemico piccolo ma degno di Terminator. Ma il film che ci è tornato più in mente guardando Black Mirror è Strange Days: lo squid, quel sistema operativo misto a droga che permetteva di registrare e rivivere all’infinito ogni tipo di sensazione, propria o altrui (in fondo un altro modo di sfidare il tempo, e quindi essere un po’ immortali), ritorna, in parte, in molti degli artifici tecnologici di queste storie. Le soggettive di Arkangel, live a differenza di quelle registrate di Strange Days, sono quasi le stesse. I ricordi che in Crocodile possono essere immagazzinati, salvati e riletti da altri sono molto vicini all’effetto dello squid. E quel casco che, in Black Museum, posto sulla corteccia cerebrale dei pazienti permette di viverne in tempo reale i dolori al medico che li cura, è il nipote del casco usato dal Lenny Nero di Ralph Fiennes. Sì, tra i padri di Black Mirror (che sono sicuramente molti) ci sono sicuramente anche Katrhyn Bigelow e James Cameron.

Ma Black Mirror è originale perché, per mostrarci la sua visione del futuro, si discosta delle metropoli caotiche e fatiscenti di un Terminator o di uno Strange Days, optando per luoghi vuoti, isolati, rarefatti. La periferia industriale di Arkangel, i ghiacci di Crocodile, l’alienante e vuoto villaggio vacanze di Hang The Dj, le lande brulle di Metalhead, la stazione di servizio abbandonata e il museo vuoto di Black Museum. USS Callister fa ancora una volta storia a sé. Ma pensate a come possa essere solitario e disperato lo spazio per l’eternità…

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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