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Loro 2. La paura di morire, la rincorsa della giovinezza. E la pietà

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Io vendo un sogno”. “Non le piacerebbe che la sua vita somigli a quella fiction che sta guardando”? È il dialogo tra Silvio Berlusconi e una signora qualunque, alla quale cerca di vendere una casa, come faceva agli inizi della sua avventura, quando era un costruttore. E soprattutto un venditore. È uno dei momenti chiave di Loro 2, la seconda parte del film di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi (e non solo…) in arrivo il 10 maggio (Loro 1, la prima parte, è in sala dal 24 aprile). Poco prima l’abbiamo visto parlare con Ennio (è Ennio Doris, il suo socio in fatto di finanza), interpretato, con capello biondo, occhi azzurri e piglio ottimista, dallo stesso Tony Servillo. Silvio/Ennio è un duetto tra Berlusconi e il suo doppio, il politico e il venditore, l’uomo stanco e l’entusiasta. Ennio è l’alter ego di Silvio, la sua anima primigenia, il suo passato, il vincente. “Siamo venditori. Il venditore è un uomo solo, parla sempre e non ascolta mai. Noi convinciamo il prossimo”. E così è l’alter ego che convince Berlusconi, un uomo che è fermo, fuori dal gioco, in attesa di qualcosa, a ridiventare venditore, e proporre un sogno. Lo farà a sei persone, sei senatori, che dovranno passare dalla sua parte, far cadere il governo. E far ripartire il “Grande Sogno”, il progetto di Berlusconi per l’Italia.

Tra i tanti commenti che abbiamo letto, sui social media e negli articoli, su Loro 1, ci sono stati anche quelli di chi avrebbe avuto un film più politico, più schierato, che raccontasse i fatti contestati al leader. Detto che un film politico è già stato fatto, e che non è questo l’intento di Paolo Sorrentino, in Loro 2 c’è anche tutto questo. C’è, come detto, la compravendita dei senatori. E dal dialogo con uno di questi viene sciorinato tutto il buio che gli affari di Berlusconi hanno significato: processi, leggi ad personam, conflitto di interessi, scontro con la magistratura, populismo scorrono in un dialogo veloce che non appesantisce così un film altamente simbolico e intimista con la cronaca, ma ci fa tenere tutto ben presente. Da qui, in split screen, arriva lo scandalo delle intercettazioni sulle raccomandazioni delle attrici per le fiction, un momento in cui, alle immagini dei direttori di rete vengono, alternate quelle di attrici improbabili in ruoli che lo sono ancor di più, sublimato da un altro colpo di grande cinema, un finto trailer (alla Tarantino) di una fiction su Lady Diana, interpretata da Kira (la cortigiana impersonata da Kasia Smutniak), attrice improvvisata che definire non in parte sarebbe un eufemismo.

È il momento più esilarante di un film che si fa subito amaro. È l’ora in cui il protagonista viene lasciato dalla sua donna, e Loro arrivano finalmente a Lui. Malafemmina, che Berlusconi/Servillo aveva cantato poco prima, a una festa ancora casta, è un presagio. Arrivano le feste, le donne di Sergio Morra (Riccardo Scamarcio) entrano finalmente nella villa di Silvio, e inizia il tourbillon salito tristemente agli onori della cronaca. Ma è qui che capiamo cosa abbia animato Silvio. O almeno, così lo immagina, nella sua ricerca di umanità, Paolo Sorrentino. La sua è una ricerca della giovinezza, quella che per Jep Gambardella ne La grande bellezza era rappresentata dall’amore di gioventù. È la paura di morire, quella che i protagonisti di Youth avvertivano chiaramente. È una delle grandi paure di Sorrentino stesso, uno dei grandi temi del suo cinema. E, in fondo, è la paura di tutti noi. Anche quella pecora, che sfidava il climatizzatore nell’incipit di Loro 1, ha spiegato Sorrentino, era questo: la paura di morire. Sentire Stella (l’affascinante Alice Pagani, una Natalie Portman di casa nostra), la più giovane, la più irraggiungibile delle donne che frequentano la villa del Capo, dire che ha “l’alito di mio nonno”, quello di un vecchio, sentirgli dire che è “patetico” nella sua rincorsa della giovinezza è una chiave di lettura per cercare di capire cosa sia successo in quegli anni a uno degli uomini più potenti d’Italia. E renderlo come tutti noi, un uomo mortale e fallibile. È la “tenerezza” dello sguardo, la chiave con cui Sorrentino ha dichiarato di avvicinarsi al fenomeno Berlusconi.

Sia chiaro, è una tenerezza che avvicina a noi un uomo che è lontanissimo. Ma non risparmia nulla al leader che vuole raccontare. Dopo che il terremoto de L’Aquila ci ha fatto vedere il Berlusconi showman, in fondo ancora il venditore di cui sopra, fare il suo show mediatico sulla pelle della gente, il dramma di quella che, in fondo, è anche una storia d’amore, esplode nel privato di una camera, in una scena toccante in cui Veronica Lario (Elena Sofia Ricci) chiede il divorzio a Silvio. È una gara di bravura e intensità con Toni Servillo, che smette, se mai lo sia stato in questo film, di essere imitazione, o citazione, per diventare un personaggio tragico. “Volevi essere uno statista, sei rimasto un piazzista”. “Siete un film di Totò e Peppino. Una versione antica, che credete moderna, di un film comico. Una lunghissima, ininterrotta, messinscena”. È la dichiarazione di un amore finito. È la lettera d’addio. Non è solo quella di Veronica, ma quella di tutta una parte di italiani che, come lei, si sono innamorati di lui. E, alla domanda, “perché allora sei stata con me tutto questo tempo’”, rispondono che lo hanno fatto perché li aveva fatti innamorare. È un momento doloroso, non solo per i due personaggi in scena, ma per tutti noi, perché sappiamo quanto abbia significato questa storia per l’Italia intera. È qui che capiamo che Loro è un film visionario, ma vero. E terribilmente malinconico.

Paolo Sorrentino è riuscito a entrare nel Mistero Berlusconi, a leggere dentro un uomo pubblico eppure impenetrabile, a dipingerlo con la sua poetica e la sua sensibilità. Loro è puro cinema Sorrentino, eppure è qualcosa di nuovo nella sua filmografia. Sono due, dieci, cento film in uno, ma si fondono in un corpo coeso e coerente. E, mentre un uomo che ha avuto tutto – e a cui è stato detto sempre di sì – si chiede, davvero stupito, a quanto pare (e non è facile immaginare sia stato così), perché non gli lascino fare quello che vuole con l’Italia come ha fatto con le sue aziende, e perché davvero non tutti lo amino, Loro si chiude ancora con il grande buco nero della sua storia politica. Si chiude con L’Aquila, con la metafora – ovvia ma imprescindibile – di un paese in macerie (ma con la speranza che gli atti di eroismo ci siano), con l’immagine (che richiama Le conseguenze dell’amore ma anche La dolce vita) di una Pietà. Sì, Paolo Sorrentino è anche Pietà. È anche sentimento.
CREDITI FOTOGRAFICI: ©tg24.sky.it

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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