Connect with us

Cine Mood

Venezia 75, giorno 8: Valeria Golino, Riccardo Scamarcio e la masterclass di David Cronenberg

Published

on

Giornata pienissima alla Mostra del Cinema di Venezia. Poche le star presenti, ma tanti i film meritevoli di attenzione, in tutte le sezioni. Per il concorso è stato il turno del regista messicano Carlos Reygadas con Nuestro Tiempo, e dell’irlandese Paul Greengrass con 22 July. Il primo, della durata di quasi tre, è ambientato in un ranch dove si allevano tori ed è la solita personalissima e anticonvenzionale riflessione sulla vita (in questo soprattutto sull’amore e sulla natura) offerta dal regista, sontuoso e poetico nella messa in scena, rarefatto nella narrazione. Il secondo, invece, di più facile fruizione, è il racconto del tragico attentato avvenuto in Norvegia nell’estate del 2011, con l’esplosione al centro di Oslo e poi con il massacro di giovani sull’isola di Utoya. “Ho parlato molto con le famiglie delle vittime dell’attentato – ha spiegato Greengrassmi hanno chiesto di non eccedere e di essere rispettoso ma anche di non edulcorare nulla”.

Fuori concorso sono passati invece altri due film molto attesi qui al Lido. Ci riferiamo innanzitutto al ritorno dietro la macchina da presa di Valeria Bruni Tedeschi con Les Estivants (I villeggianti) che vede nel cast, oltre alla stessa regista, anche Valeria Golino e Riccardo Scamarcio. La pellicola è il ritratto di una famiglia in vacanza, ambientato nella casa al mare in Costa Azzurra, dove i rapporti umani lasciano trapelare le loro fragilità, dove si fanno sentire i segni del passato, dove si può riflettere, ridere, ricordare. Commedia intima e delicata, il film è stato definito dalla Bruni Tedeschi “un’autobiografia immaginaria”. “Sono partita dalla mia realtà, e poi ho inventato, l’ho rielaborata, arrivando a questo racconto di finzione”, ha spiegato l’autrice italo-francese. La Bruni Tedeschi interpreta se stessa, Scamarcio il suo ex compagno, la Golino sua sorella. “Lavorare con Valeria è sempre un’esperienza – ha raccontato quest’ultima – con lei ci si sente liberi e protetti. Prima di girare il mio film da regista, mi è stato molto d’aiuto essere diretta da lei”.

Di tutt’altro genere, la nuova fatica del documentarista Errol Morris, che questa volta firma un’opera interamente dedicata a Steve Bannon. American Dharma è un ritratto a tutto tondo dell’ideologo di destra che ha portato Donald Trump alla conquista della presidenza americana; una lunga intervista che ha creato, qui al Lido, non poche polemiche, dividendo molto. Morris, infatti, da una parte ha ricevuto applausi, dall’altra è stato attaccato per aver dato spazio e visibilità a Bannon, “normalizzando” il suo estremismo. “Anche io sono stato e sono ancora combattuto – ha ammesso il regista. “Il motivo per cui ho deciso di fare questo film non è per dare visibilità a Bannon, ma per indagare questa figura. Cercare di capire è necessario”. Steve Bannon non è stato invitato al festival né dal regista né dalla Mostra stessa, eppure sembra che fosse presente in sala, nascosto nel pubblico, alla presentazione del documentario.

Infine, venendo al cinema italiano, in Orizzonti, è stato presentato il film italiano Un giorno all’improvviso di Ciro D’Emilio, con Anna Foglietta nei panni di una madre alle prese con il figlio che ha il sogno di diventare calciatore. Un’opera sincera, ben riuscita, assolutamente godibile che usa lo sport come mezzo per raccontare il nostro paese. Alle Giornate degli autori, è stata invece la volta di Pippo Mezzapesa che ha diretto Sergio Rubini ne Il bene mio. Il film, che racconta di un uomo che si rifiuta di abbandonare il proprio paesino distrutto dal terremoto, è una dolce favola sull’Italia di oggi, sul valore dei ricordi e delle proprie radici.

Grande protagonista di giornata è stato anche David Cronenberg. Alla Mostra per ritirare il premio alla carriera, il regista canadese ha animato una bellissima Masterclass con pubblico e giornalisti, in cui si è parlato del suo cinema, dei film che l’hanno segnato, delle sue passioni, di Netflix e del futuro della Settima Arte. Una “lezione” che è stata una vera e propria immersione nel mondo del regista de La mosca. Uno di quei momenti che impreziosiscono un festival.

di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it

 

 

0 Users (0 voti)
Criterion 10
What people say... Leave your rating
Ordina per:

Sii il primo a lasciare una recensione.

User Avatar
Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Di Più
{{ pageNumber+1 }}
Leave your rating

Il tuo browser non supporta il caricamento delle immagini. Scegline uno più moderno.

Continue Reading
Advertisement
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

13 + venti =

Cine Mood

Joker: Folie À Deux: Non sono Joker e non voglio più esserlo…

Published

on

Chi è davvero Joker? Se avete visto il primo film di Todd Phillips saprete che, in questo nuovo racconto che reinventa l’arcinemico di Batman e lo fa vedere sotto una nuova luce, Joker si chiama Arthur Fleck, ha lo sguardo affebbrato e il volto emaciato di Joaquin Phoenix, ed è un uomo solo e disperato. Dopo aver visto il seguito di quel film, Joker: Folie À Deux, presentato al Festival di Venezia e dal 2 ottobre al cinema, ci è venuta in mente un’altra idea. Joker, o Arthur Fleck, in realtà è lo stesso Todd Phillips, il regista e sceneggiatore che con il primo film aveva tentato un azzardo, facendo centro, e qui compie un azzardo ancora maggiore. La storia di Arthur Fleck in questo nuovo film è quella dello stesso Phillips alle prese la creazione del film stesso.

Ma qual è la storia di Joker: Folie À Deux? Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è recluso nel manicomio di Arkham in attesa di essere processato per i crimini commessi come Joker. Mentre lotta con la sua doppia identità, Arthur non solo scopre il vero amore, ma trova anche la musica che ha sempre avuto dentro di sé. Il sequel di Joker dunque diventa un musical vero e proprio, un musical classico in cui i personaggi passano dalla recitazione al canto e viceversa senza soluzione di continuità.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Ma fate attenzione. La chiave è tutta in Arthur e in quello che gli altri vogliono da lui. I secondini, gli addetti al carcere, i media, la gente che lo attende fuori e ne ha fatto un simbolo della rivolta contro il sistema: tutti vogliono Joker. Vogliono le sue barzellette, vogliono il volto truccato, la sua risata, la follia. Vogliono che Arthur sia Joker anche l’avvocato e la psicologa, per giocarsi l’infermità mentale al processo. Ma chi sono tutte queste persone? Sono il suo pubblico. Ma è quello che è accaduto a Todd Philips dopo il sorprendente successo del primo film. Tutti – il pubblico, i produttori, gli addetti ai lavori – hanno amato quel film e gli hanno chiesto di rifare Joker. È la stessa cosa: tutti vogliono Joker.

Ma Arthur Fleck di Joker non ne vuole sapere. Vuole essere se stesso, vuole parlare di sé, non vuole raccontare le barzellette. Anche l’amore, per lui, è fuggire dalla solitudine e dalla depressione, da tutto quello che lo aveva portato a uccidere ed essere Joker. E così Todd Phillips dà al pubblico quello che vuole, un nuovo film su Joker. Ma in fondo del pubblico si fa beffe, dandogli qualcosa che non è quello che si aspetta. Come Arthur, Phillips nei panni del Joker non ci si sente più. E allora racconta proprio questo, il voler fuggire dalle etichette, dagli steccati, dagli stereotipi. Arthur Fleck non è Joker, è solo Arthur.  E Joker: Folie À Deux non è Joker 2.

E così, nel nuovo film, ogni scelta è quella di un folle. Todd Phillips si muove come il suo protagonista, come una scheggia impazzita, facendo continuamente il contrario di quello che ci si aspetta. Già il primo Joker era un finto cinecomic, un film drammatico calato nel mondo di Taxi Driver e Re per una notta di Scorsese. Qui è ancora altro: un musical ipertrofico con un affastellarsi di numeri canori e danzanti uno dietro l’altro, distribuiti sul racconto senza un’apparente logica, se non quella generica del sogno e dell’evasione. È un film su un villain dei fumetti (anzi due) in cui non ci sono delitti, o quasi, non c’è azione. Non c’è nemmeno Batman, o alcun riferimento a lui, com’era nel primo film. E, in fondo, non c’è nemmeno la Harley Quinn di Lady Gaga, presente nei numeri canori, nelle scene d’amore, ma in fondo mai sviluppata appieno per quello che poteva essere il personaggio.

Todd Philips sceglie di ambientare Joker: Folie À Deux per metà in un manicomio – e l’ambientazione funziona – e per metà in un’aula di tribunale, per il processo, ma senza mai creare la tensione che deve avere un legal thriller. Anche il possibile discorso sui media e l’emulazione di Joker che avviene all’esterno è in fondo solo accennata e sfruttata male. Il finale chiude le porte a ogni possibile Joker 3, e ribadisce quello che andiamo dicendo. Con questo film Todd Philips ha voluto dirci quello che ci vuole far capire Arthur Fleck: non sono Joker. E non voglio più esserlo.

di Maurizio Ermisino

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

0 Users (0 voti)
Criterion 10
What people say... Leave your rating
Ordina per:

Sii il primo a lasciare una recensione.

User Avatar
Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Di Più
{{ pageNumber+1 }}
Leave your rating

Il tuo browser non supporta il caricamento delle immagini. Scegline uno più moderno.

Continue Reading

Cine Mood

Torna l’appuntamento con il Festival Cinematografico Internazionale di Sitges

Published

on

L’industria cinematografica sta cambiando. Ed anche i Festival. Anche quelli di settore. Sta per prendere il via la 57a edizione di “SITGES – Festival Internazionale del Cinema Fantastico della Catalogna” del fantasy e dell’horror che continua a scommettere sugli eventi extra offrendo sempre più iniziative rivolte ai professionisti del settore cinematografico a livello internazionale con conferenze, incontri, tavole rotonde e workshop al fine di creare sempre più “catene di valore” in questo genere di settore cinematografico. Il festival è previsto alle porte di Barcellona in Spagna,a Sitges appunto, dal 3 al 13 ottobre 2024.  Da segnalare sicuramente “horror girls”, ovvero il secondo incontro di professioniste europee specializzate ne genere di sesso femminile al fine di valorizzarne il talento in un contesto di pari opportunità e riflessione sull’horror contemporaneo.  Tra i nomi Priscilla Smith, Manon Barat e Antonia Nava , Nahikari Ipiña, Nuria Valls e Enrique López Lavigne , Lauren LaVera, Desirée de Fes e Iván Fund pltre che attrici e registe importanti del settore. Tra le tavole rotone si segnala quelle di studio sulla figura della donna in questo settore con Mònica Garcia e Massagué, Heidi Honeycutt e Victoria McCollum. Il futuro del genere fantastico ed horror si tinge quindi di rosa? Chissà. Sicuramente ampio spazio il festival lo darà all’uso della tecnologia anche con l’uso dei videogiochi nel mondo di questo genere di cinema. Il cinema oltre il cinema, insomma, sempre più lontano da un unico concetto di “effetti speciali”. Invariate le sezioni ovvero :Fantastic in Competition ufficiale, Sezione ufficiale della collezione Sitges,Sessioni speciali,Panorama,Orbita,Nuove visioni, Anima’t,Sette possibilità,X-Treme a mezzanotte,Brigadoon (sezione competitiva),Sitges Classics (retrospettive e omaggi),Documenta di Sitges,Sitges Coming Soon (teaser e trailer delle prossime uscite iberoamericane),Sitges Family (sezione non competitiva).
Il Festival di Sitges resta insomma a livello internazionale la migliore vetrina europea per questo cinema di genere dove i criteri di selezione restano quelli di creatività e tendenza horror e fantasy.

di Cristina T. Chiochia

0 Users (0 voti)
Criterion 10
What people say... Leave your rating
Ordina per:

Sii il primo a lasciare una recensione.

User Avatar
Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Di Più
{{ pageNumber+1 }}
Leave your rating

Il tuo browser non supporta il caricamento delle immagini. Scegline uno più moderno.

Continue Reading

Cine Mood

Love Lies Bleeding: amore e morte in un’America tossica. Con Kristen Stewart

Published

on

“Il corpo ottiene ciò a cui la mente crede”. “Il destino è una decisione”. “Solo i perdenti mollano”. Che cosa sono queste frasi? Sono delle scritte affisse in una sordida palestra in una cittadina del New Mexico, nel profondo interno degli Stati Uniti alla fine degli anni Ottanta, dove inizia Love Lies Bleeding di Rose Glass, con Kristen Stewart. Sono scritte motivazionali che allora potevi trovare in una palestra. Ma sembrano cogliere, in parte, quello che troveremo nel film. Una storia di perdenti, un destino che sembra segnato, o che forse si può riscrivere. Una riflessione sul corpo e una storia costruita accanto a corpi che cambiano, si incontrano e si scontrano, corpi che muoiono, scompaiono e ritornano. Presentato al Sundance Film Festival e poi Festival di Berlino, Love Lies Bleeding arriva ora in Italia, al cinema dal 12 settembre, distribuito da Lucky Red.

Lou (Kristen Stewart), una ragazza scontrosa e solitaria, trasandata e delusa dalla vita, gestisce la palestra del padre (Ed Harris) quando nella sua vita arriva Jackie (Katie O’Brien), un’ambiziosa culturista diretta a Las Vegas per inseguire il suo sogno. Le due si innamorano perdutamente, ma il loro amore le trascina in un vortice di violenza, facendole precipitare nella rete criminale della famiglia di Lou.

È un film di corpi, dicevamo, Love Lies Bleeding. Tutto ruota intorno ai due corpi opposti, e quindi destinati ad attrarsi, di Lou e Katie. Lou è Kristen Stewart, l’ex Bella di Twilight, l’ex fidanzatina d’America e modello di migliaia di adolescenti. La carriera di Kristen è una continua sfida. Qui è in scena con un’aria trasandata, i capelli unti acconciati in una sorta di mullet anni Ottanta, le occhiaie a cerchiare gli occhi nocciola su un viso pallido e smunto. Le mani sono sempre quelle di una bambina. E il suo corpo, celato da abiti maschili e oversize, è quello di un’adolescente, sottile e acerbo.

Jackie è l’esordiente Katie O’Brien, riccioli neri, mascella volitiva e occhi verdi allungati e taglienti. Il fisico tonico, possente, da culturista la fa sembrare una gigante, una wonder woman di periferia, la fa spiccare sulle donne e gli uomini mediocri di quella schifosa cittadina del New Mexico. I muscoli guizzanti, così tesi che ne sentiamo il suono, non le fanno perdere però femminilità e sex appeal. Jackie attraversa il film come oggetto del desiderio. Accanto a loro, Ed Harris, calvo e con i capelli lunghi da sembrare Zio Tibia, fornisce un’ulteriore variazione alla sua carriera da villain, Jena Malone è irriconoscibile nel ruolo della sorella di Lou, vittima di abusi, e Dave Franco il marito tossico. Ma attenzione anche ad Anna Baryshnikov, nel ruolo di Daisy. Che sembra un ruolo minore, ma…

Siamo negli anni Ottanta, per la precisione nel 1989, visto che sentiamo alla tv la notizia della caduta del muro di Berlino. Ma questo è il lato meno scintillante degli Eighties, è quello più marrone, o più grigio. Non siamo nel cuore degli avvenimenti, ma nella periferia. È qui che vivono gli emarginati, i reietti, quelli che, per la loro provenienza, cioè per la loro famiglia, sembrano avere il destino segnato, invischiati sempre più dentro, come se fossero nelle sabbie mobili: più cercano di uscire più ci precipitano. Love Lies Bleeding è una sorta di Thelma & Louise unito a Requiem For A Dream, ambientato nel mondo sordido di Tonya. Del film di Ridley Scott ha la forza dell’unione di due donne sole contro tutti. Del film di Aronofsky ha quel suono dei sogni che vanno in frantumi. Ma forse ha un po’ più di speranza.

Love Lies Bleeding è un film di corpi, di muscoli, di sudore di sangue. E anche di armi, di steroidi e di automobili. Un film di uomini tossici e di sostanza tossiche. E di un amore puro che rischia di avvelenarsi in tutto questo. Duro, coraggioso, con scene di sesso e di violenza, è una storia d’amore destinata a virare nel nero del crime, del thriller e del noir. Quelle scene più visionarie e immaginifiche, che arrivano alla fine del film, piuttosto bruscamente, senza cioè che il terreno sia stato preparato, dimostrano che Rose Glass non è una regista banale ed è in grado di spiazzare e volare con l’immaginazione. Stridono però un po’ con il tono più realistico del film, che aveva saputo creare un’atmosfera tesa e disperata e a tirarci dentro la storia, e in qualche modo spezza l’incantesimo della nostra empatia con i personaggi. tutto questo però non toglie a Love Lies Bleeding quel suo essere un film intenso e potente. “Il destino è una decisione”. E le nostre due eroine proveranno a cambiarlo.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

0 Users (0 voti)
Criterion 10
What people say... Leave your rating
Ordina per:

Sii il primo a lasciare una recensione.

User Avatar
Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Di Più
{{ pageNumber+1 }}
Leave your rating

Il tuo browser non supporta il caricamento delle immagini. Scegline uno più moderno.

Continue Reading

Trending