Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! [Purgatorio VI, vv. 76-78]
È periodo, questo, in cui non si placano le polemiche su ciò che riguarda il nostro Paese. Si parla di destra, sinistra, di partiti e coalizioni. Di fascismo e di democrazia, di buonismo e di intolleranza. Non è necessario, però, trattare di tecnicismi e partizioni politiche, e neanche, nello specifico, di questi argomenti. Accontentare tutti non si può: le idee che ognuno si è costruito, nell’arco della propria vita da cittadino, sono molteplici e differenti; c’è chi poi ne va particolarmente orgoglioso, e rischierebbe di fulminare lo schermo su cui legge coi soli occhi. Per evitare corse sfrenate ai negozi di pc, tablet e smartphones, quindi, è meglio mettere in chiaro altro, perché forse, ancora non lo è.
Partiamo dalla genesi: se repubblica significa cosa di tutti, viene spontaneo pensare che ognuno debba interessarsene, a trecentosessanta gradi. Come in una famiglia, in un’azienda, se ognuno fa il suo pezzettino come si deve, tutti stanno bene. Si lavora meno, si lavora meglio. Ora un passo in avanti: politica è l’arte di governare lo stato; o forse questo è solo il significato originale della parola, e bisogna riscoprirla un po’. È facile guardare l’erba del vicino – tanto si sa, sarà sempre più verde – e fermarsi lì, senza considerare altro. Allo stesso modo è facile dare la colpa agli altri: al mito del sistema, a chi governa, a chi si oppone.
‹‹E perché i politici non fanno nulla?›› ‹‹I politici? Mica la politica salva gli uomini. E poi spesso è connivente con questo stato di cose. Quello che conta sono le scelte dei singoli. Sei tu la politica, ragazzo, le scelte che fai ogni giorno camminando su queste strade. […]›› [Alessandro D’Avenia, Ciò che inferno non è]
Se il politico è un’artista, come un’artista tiene conto del contesto storico e geografico in cui si trova, tiene i punti buoni, cerca di migliorare quelli che lo sono meno; se deve governare lo stato, mira all’interesse di tutti, non ai propri. Senza bisogno di specchi per le allodole, solo per sedere a quella poltrona. Se i giovani si presentano alle urne, ma ben poco convinti, il motivo sono le bufere che la politica scatena attorno a sé, quindi, senza averne tanta esperienza, l’unico modo per fare chiarezza sembra procedere per tentativi; d’altronde, non si può giudicare un libro senza averlo letto, né un quadro senza averlo visto. Nel frattempo, bisogna partire da sé: con la consapevolezza che la propria libertà finisce dove inizia quella di qualcun altro, e che se tutti rimanessero in questo confine, tanti dei problemi di cui ci tocca sentire alla radio, al mattino, andando al lavoro, sarebbero sostituiti dalla musica. Volenti o nolenti, con gli altri bisogna convivere; a che serve pestarsi i piedi dove c’è posto?
Basterebbe considerare il posto in cui viviamo come un regalo: trattarlo con cura, perché sappiamo cosa sia costato a chi ce l’ha lasciato; ed essere affiatati e uniti, come alla finale del 2006. Perché il futuro comincia oggi, e non è in altre mani, se non le nostre.