« The story comes from inside the body. » Sharon Eyal
È la danza il cuore pulsante di questa collezione. La danza come atto liberatorio, come azione del corpo, in quella dimensione che usa il ritmo, il movimento, la musica per entrare in contatto con la parte più remota del proprio essere. Danza e moda definiscono i corpi e attraverso la disciplina insegnano ad appropriarsene.
Per Maria Grazia Chiuri, direttore creativo di Dior, è stato fondamentale guardare il lavoro di una serie di artiste che hanno rotto gli schemi di una armonia stilizzata, per creare una diversa idea di bellezza del corpo in movimento in un nuovo rapporto con lo spazio, con il tempo, con la natura. Loïe Fuller, Isadora Duncan, Ruth St. Denis, Martha Graham, Pina Bausch, eroine della nuova danza che hanno esplorato la disciplina fino a riportarla alle origini del mondo, in quell’impasto dionisiaco che innerva ogni cultura.
“Non è la perfezione del corpo ma la duttilità dei movimenti” afferma Sharon Eyal, una delle autrici più interessanti ed emotivamente forti del nostro tempo che Chiuri ha voluto accanto in questo progetto. Monsieur Dior amava la danza e dall’archivio riaffiora la straordinaria collaborazione con Roland Petit per il balletto Treize Danses, insieme alle foto della grande Margot Fonteyn, affezionata cliente della maison.
“L’esperienza del ballo, la sua verità più intima; il suo essere espressione universale; la radicalità dei gesti della danza contemporanea hanno sollecitato la mia immaginazione” spiega Chiuri, che ha costruito una collezione che nella leggerezza e nella duttilità ha trovato la sua sostanza. Body, canottiere, culottes, tute leggere diventano una sorta di coreografia vestimentaria declinata nelle infinite possibilità delle sfumature del nudo, che si connettono al corpo in molteplici declinazioni e ne accompagnano i movimenti, diventando base e complemento di una serie di capi della collezione (come le ampie gonne impalpabili, o come i tutù corti o lunghi) o impronta dei volumi degli abiti maschili da danza etnici, traccia di quella cultura popolare che Chiuri non dimentica mai. Come gli abiti che paiono aver perso consistenza per rimanere rete intrecciata di tulle. Come i pezzi che hanno sostituito il corsetto con la forma della canottiera. Memoria visiva di quelle sonorità hip hop che ispirano anche la parte della collezione svolta nella materialità rilassata del jeans.
È la danza come atto performativo, come movimento cangiante a suggerire il motivo del caleidoscopio, che diventa disegno, fantasmagoria di piume, eco delle esperienze cinematiche intrise di colore di Loïe Fuller. Colori che sfumano sulle superfici leggerissime di abiti e gonne, su cui sono indossati cappotti ampi, giacche che proteggono i corpi all’uscita dal teatro. Mentre le calzature sono mirabolanti creazioni di nastri intrecciati sul piede e sulla caviglia, appoggiati sulla trasparenza del plexiglass.
È la coreografia dei corpi sulla scena, il rapporto tra loro, simile al movimento delle stelle e dei pianeti nella mappa celeste, a riportare a quell’energia dell’universo cui attinge la danza in tutte le sue espressioni. A quell’energia che è controllo e liberazione del corpo, dei corpi. A quell’energia che è simultaneamente disciplina rigorosa e libertà estrema. A quell’energia che rappresenta una collezione che è insieme sofisticata e stilizzata coreografia, ed esplosione potentissima dell’immaginazione al femminile.
Crediti Editoriali: ©Dior.com
Copertina: © Carlota Guerrero for Dior
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