Chiedi chi era Ivan Drago. Chi non c’era negli anni Ottanta, e chi ha iniziato a seguire la saga solo dal film che l’ha rilanciata, Creed – Nato per combattere, forse non lo conoscerà. Ma siamo sicuri che siano in pochi. Rocky IV, come tutta la saga del pugile più amato del mondo, Rocky Balboa, è stato visto da intere generazioni, anche le più giovani. Quella storia, nata in pieni anni Ottanta, alla fine della Guerra Fredda tra USA e URSS, ora torna a fare capolino in Creed II, nei cinema dal 24 gennaio. Creed II inizia a Kiev, in Ucraina, in uno scenario grigio e depresso. Qui Ivan Drago, che aveva combattuto contro Rocky Balboa negli anni Ottanta, sta allenando un altro pugile: si chiama Viktor Drago, ed è il figlio. Un promoter americano lo vede, e ha l’idea per l’incontro che tutti vogliono: Creed contro Drago. Creed è Adonis Creed, figlio di quell’Apollo Creed che, dopo memorabili combattimenti contro Rocky Balboa, era diventato un suo amico. E, con Rocky all’angolo a fargli da secondo, aveva perso la vita proprio contro Drago, in un incontro che doveva essere un’esibizione e che divenne un massacro. Ora la sfida tra Adonis Creed e Viktor Drago diventa la sfida della vita per entrambi. Per Viktor è la visibilità, la voglia di riscattare la sconfitta del padre contro Rocky. Per Adonis è una sfida contro se stesso, ma anche contro i suoi fantasmi: è vendicare la morte del padre che non ha mai conosciuto, ma anche confrontarsi con la sua ingombrante figura di campione della boxe.
Creed II è l’incontro/scontro tra questi due giovani pugili. Ma è anche il confronto tra Ivan Drago e Rocky Balboa. Drago è il primo a entrare in scena, sin dai primi attimi del film. È invecchiato, come il suo attore, Dolph Lundgren, ed è invecchiato bene: i capelli imbiancati, un filo di barba, il volto reso più interessante dalle rughe. E una storia da raccontare. Veniamo a sapere che quell’incontro di oltre trent’anni fa cambiò la vita a Drago: per l’establishment sovietico divenne un perdente, e venne scaricato da tutti. Anche dalla moglie. In Creed II, Ivan Drago diventa finalmente un personaggio, mentre in Rocky IV era poco più che il simbolo di qualcosa che temevamo, e che era sconosciuto, proprio come l’Unione Sovietica di quei tempi. Rocky entra in scena poco dopo, negli spogliatoi del match che sta per consacrare, per la prima volta, Adonis Creed come campione del mondo. Il suo ingresso è molto particolare: Adonis parla prima di salire sul ring, sentiamo arrivare la voce di Sylvester Stallone (una voce calda, profonda, ascoltandola nella versione originale) e poi, con un lento movimento di macchina verso sinistra, vediamo finalmente apparire il volto e il corpo di Sly. Sembra come un messaggio: c’è la voce prima del corpo, i consigli prima dell’azione. È un altro segnale del passaggio di testimone nella storica saga: Creed ora è il protagonista, il combattente, è l’azione; Balboa, che lui chiama zio, è il mentore, l’allenatore, è la saggezza. La sfida se la giocano anche i due vecchi: il secondo incontro, quello decisivo, tra Viktor Drago e Adonis Creed, è anche una partita a scacchi, fuori dal ring, tra i due vecchi boxeur, ora all’angolo come secondi, che si conoscono, cercano di anticipare le rispettive mosse, si studiano per capire come colpirsi tramite i due atleti.
Creed II è il mito dell’eterno ritorno. Diciamolo: ci piace che ci vengano raccontate sempre le stesse storie, quando ci rassicurano e ci danno forza. E quello di Rocky è un racconto archetipico. Quasi ogni seguito del primo film ha ricoperto lo stesso schema, di rincorsa, caduta, rinascita e catarsi. E così anche Creed II non fa eccezione. Il protagonista è alle prese con la conquista del titolo mondiale, e con i dubbi se l’abbia davvero meritato, e poi con gli stimoli da ritrovare dopo essere arrivato in cima, proprio come Rocky a cavallo tra Rocky II e Rocky III; come nel secondo Rocky anche lui è alle prese con l’arrivo del primo figlio, e con i problemi della compagna, Bianca. C’è il momento, tipico dei Rocky (il terzo e il quarto in particolare), in cui si tratta di lasciare tutte le certezze e le comfort zone, cambiare aria, e andare in un posto nuovo per allenarsi e ritrovare gli stimoli.
Rocky è sempre lo stesso film. E in fondo è sempre nuovo. Creed II o, se preferite, Rocky VIII, riesce a giocare bene con i canoni dei film classici (la scalinata, il tema musicale, l’allenamento) ma senza abusarne e, soprattutto, senza sembrare mai una copia dell’originale. Ma riuscendo a riprodurne l’epica, il crescendo, l’emotività. Accanto ai grandi vecchi, Michael B. Jordan e Tessa Thompson, Adonis e Bianca, sono due corpi potenti e sensuali, e Florian Munteanu, nei panni del giovane Drago, è funzionale alla storia. Che, anche stavolta, ci insegna a soffrire e a capire per chi e per cosa lottiamo. E, soprattutto, a rialzarci ogni volta che cadiamo.