“Così fatti pensieri / quando fien, come fur, palesi al volgo, / e quell’orror che primo / contra l’empia natura / strinse i mortali in social catena, / fia ricondotto in parte / da verace saper, l’onesto e il retto / conversar cittadino, / e giustizia e pietade, altra radice / avranno allor che non superbe fole, / ove fondata proibità del volgo / così star suole in piede / quale star può chi ha in error la sede.”
(vv.145-157, La Ginestra, Leopardi)
Per quanto la nostra vita si possa semplificare su uno schermo, con una sinusoide spigolosa e qualche beep che indicano il numero dei battiti di un cuore che si gonfia e si spreme migliaia di volte al giorno, ci sarà sempre un filo appeso a qualcosa che da quando esiste uomo sulla faccia della terra nessuno sia riuscito a spiegare, che spinge ad alzare la testa ed aprire gli occhi ogni mattino. Quel filo si interseca con altri innumerevoli fili: nell’arco di una vita incontriamo un sacco di persone, basta contare gli sguardi incrociati: sull’autobus, al supermercato, a scuola, al lavoro, in auto. Intersecandosi il nostro filo diventa un gomitolo, che prende una forma diversa a seconda di quanti, di quali altri incontra, dell’ordine, del momento in cui li incontra. Interagendo con altri costruiamo la nostra vita. Pensate a quante parole, sorrisi, gesti hanno cambiato le giornate, inaspettatamente. Ogni nodo è una storia che resta. Con altri stipuliamo accordi, contratti, instauriamo rapporti. Condividiamo gran parte della nostra vita.
Innegabile è il fatto che i segni che lasciamo sono diversi per ciascuno, a seconda del tipo di legame che ci unisce. Innegabile è anche che per quanti colpi di forbice si possano dare, per quanto i fili si possano tirare e infine rompere, restano quei nodi più in alto o più in basso del gap che si crea; anche la forza e perfino le lame possono poco di fronte ad essi. Sarà, come sempre, un caso il fatto che il verbo latino ‘ligare’ (da cui il nostro ‘legare’)si associa a ‘lygein’,dal greco antico, abbracciare; e che diamo poi a questi nodi il nome di ricordi.
Quando ci si allontana per qualsiasi motivo, per scelta, per una lite o per morte che sia, resta questo. Restano vivi i nodi e le tensioni di quei fili, insieme alle abitudini, gli odori, i sorrisi e i malumori, il quotidiano tanto stretto che è difficile sfilarsi.
Se è un giovane, poi, che si leva di torno, questo resta, senz’altro. C’è da fare i conti, però, con ciò he porta via con sé; il suo crescere, ogni giorno, e prender forma a seconda del vento che soffia intorno. I sogni a volte strampalati che solo nella sua testa possono avere una trama credibile. Lo sguardo di chi è sempre in buona fede perché a esser cattivo per davvero non ha ancora imparato. Non importa il filo che lascia dall’altra parte del nodo. Si porta via questo e si chiude di nuovo a destra e sinistra per dar forma al suo gomitolo.
C’è da tenersi stretti, a chi legge decidere se interpretare metaforicamente o letteralmente. C’è da far tesoro del tempo che si trascorre con gli altri (che è la maggior parte, e non c’è il tasto per rivedere o rifare come con i film) c’è da prender tutto e setacciare, c’è soprattutto da mettersi in gioco e dare. C’è da esser consapevoli che da soli non si va da nessuna parte e che per ogni nodo, i lembi da legare, sono due.