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Claudio Santamaria: quello di Freaks Out diventerà il nostro nuovo eroe?
È stato Batman almeno sei volte (la voce dei tre film di Nolan e dei tre film Lego), ma il supereroe che ha fatto innamorare tutti non viene da Gotham City, ma da Tor Bella Monaca. Parliamo di Claudio Santamaria e di Enzo Ceccotti, il protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot. Un cinecomic potente, che segue tutte le regole del genere, ma anche carico di empatia. Il merito è della regia di Gabriele Mainetti e della penna di Nicola Guaglianone. Con la premiata ditta Claudio Santamaria è tornato sul set di quello che è uno dei film italiani più attesi dell’anno, Freaks Out, finalmente pronto e nelle nostre sale dal 16 dicembre. La storia è quella di un gruppo di ragazzi che vivono e lavorano in un circo, ma che, nella Roma del 1943, sono costretti ad abbandonarlo e a perdersi nella città a ferro e fuoco tra i nazisti e i partigiani. Ma quei ragazzi hanno dei poteri. Freaks Out promette di essere una sorta di X-Men all’italiana, con molti rimandi a Freaks di Tod Browning, La ballata dell’odio e dell’amore di Álex de la Iglesia, Big Fish di Tim Burton. Claudio Santamaria sarà, a suo modo, ancora un eroe, con superpoteri e superproblemi, come ci insegna il mondo Marvel. “Sono un personaggio ipertricotico, una specie di uomo lupo” ci aveva svelato qualche tempo fa.
Un mostro, o un supereroe, dipende da dove lo si guarda. Come l’Enzo Ceccotti di Lo chiamavano Jeeg Robot, una forza sovraumana fuori, grazie all’incontro con una misteriosa sostanza trovata in dei barili nel Tevere, una fragilità incredibile dentro, fatta di solitudine e di un passato non facile. Eroe per caso, anzi eroe per niente, visto che il primo modo di usare i poteri è per il proprio tornaconto. Eroe per scelta, ma non sua, poi, visto che è una ragazza, Alessia, che in lui vede un eroe, e che lo convince ad essere quello che è.
I capelli ricci e neri, il fisico prestante, i tratti del viso decisi e quegli occhi blu, che sanno, a seconda delle esigenze di copione, diventare freddi e magnetici, o profondi e pieni di sentimento. Claudio Santamaria, sul grande schermo, sa essere affascinante e ambiguo, ma anche spaesato, tenero e depresso. Non a caso, in uno dei film che l’ha consacrato star del nostro cinema a metà degli anni “zero”, Romanzo criminale, è stato il Dandi, criminale che, come dice il nome, oltre che spietato è anche un rubacuori. È sempre in quegli anni che, in una sorprendente sortita nel cinema internazionale, ha interpretato Carlos, un killer spietato nel film di 007 che inaugurava l’era di Daniel Craig: un ruolo senza parole, ma riuscitissimo.
Il rovescio della medaglia è il percorso con Gabriele Muccino, che in lui ha saputo trovare un altro lato: la fragilità, la sensibilità, l’estrema insicurezza. La avevamo saggiata nel suo memorabile ruolo ne Il primo bacio, dov’era un ragazzo geloso e iracondo da un lato, e schiacciato dalla famiglia dall’altro. Quella insicurezza, lo avremmo scoperto nel seguito, Baciami ancora, sarebbe sfociata nella depressione e in un tragico finale. Con toni meno tragici, il Santamaria fragile è tornato anche nell’ultimo film di Gabriele Muccino, Gli anni più belli. Claudio Santamaria è Riccardo, chiamato da tutti il “sopravvissuto” (ma, in fondo, anche Enzo Ceccotti lo è), per essersi ripreso dopo essere stato colpito da una pallottola della polizia a una manifestazione. “Il mio personaggio cerca una sua identità, è un personaggio smarrito” ci aveva raccontato l’attore in occasione del lancio del film. “Rappresenta una generazione smarrita, cerca la sua strada in politica, in un movimento di pancia. Ma la sua onestà non è sufficiente per fare politica: serve una competenza che lui non ha. Quando parla della libertà di opinione che ha dato internet si sente che non ha mai avuto modo di esprimersi”.
Claudio Santamaria ancora una volta non ha paura di mettersi in discussione. Con la sua avvenenza, con il suo volto, potrebbe fare sempre il bello, l’eroe. E invece è bravissimo a fare il fragile, l’incompreso, l’incompiuto. Se torniamo a Batman, in particolare a quello fatto di mattoncini di plastica dei due Lego Movie e di Lego Batman, a cui Santamaria presta la voce, troviamo un altro personaggio incompiuto. “Viene fuori quel Bruce Wayne rimasto bambino, a cui hanno ucciso i genitori: che è rimasto solo, viziato, miliardario pieno di sé, conscio del fatto che lui, avendo conquistato il suo essere eroe con la fatica e la dedizione, si prende tutti i meriti. Superman è un alieno e non fa nessuno sforzo, lui invece sì”.
Nato a Roma il 22 luglio 1974, cresciuto nel quartiere Prati, Claudio Santamaria non è solo un attore e un doppiatore, ma sa anche cantare benissimo. Non dimentichiamo il suo ruolo nella fiction dedicata a Rino Gaetano, Rino Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu, dove ha cantato tutte le canzoni. E non dimentichiamo anche la canzone dei titoli di coda di Lo chiamavano Jeeg Robot, che è la sigla dei cartoni animati che guardavamo da bambini, cantata in un’intensa versione intima, chitarra acustica e voce. Una canzone che Santamaria ha provato una sera, un po’ per gioco, e che è diventata un momento importante del film, la canzone che chiude la storia. Lo chiamavano Jeeg Robot è il film che gli ha regalato, alla terza candidatura, il David di Donatello come miglior attore protagonista. Dal 2017 Santamaria è legato alla giornalista Francesca Barra, con cui si è sposato nello stesso anno.
Qui sopra vi abbiamo parlato di quegli occhi. In un film come Freaks Out, in cui recita con il volto coperto da un vistoso trucco per creare il volto peloso del suo personaggio, gli occhi saranno ancora più importanti, fondamentali, per raccontarlo. E per creare con noi che guardiamo quell’empatia con i personaggi che, lo sappiamo da Lo chiamavano Jeeg Robot, è una delle caratteristiche vincenti della premiata ditta Mainetti, Guaglianone, Santamaria. L’appuntamento è per il 16 dicembre.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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P. Diddy: Le pesanti accuse al rapper e quelle feste dove c’erano tutti…
Published
2 mesi agoon
1 Ottobre 2024“Every step I take. Every move I make. Every single day, every time I pray. I’ll be missing you”. “Ogni passo io faccia, ogni mossa io compia, ogni singolo giorno, ogni volta che prego, mi mancherai”. Abbiamo conosciuto tutti Sean “Puffy” Combs, alias Puff Daddy, ora noto a tutti come P. Diddy, con quella dolcissima canzone, I’ll Be Missing You, rappata e cantata insieme a Faith Evans sulle note di Every Breath You Take dei Police. Era dedicata a un amico scomparso, il rapper Notorious B.I.G. Quel tributo, quella canzone così dolce, ci aveva fatto conoscere Sean Combs, che la interpretava di bianco vestito, sotto una luce positiva. Le notizie che arrivano dagli Stati Uniti, invece, gettano un’ombra inquietante sul rapper americano. P. Diddy è stato arrestato e si trova in un carcere di Brooklyn, New York, con accuse gravissime. È stato infatti accusato di ripetuti stupri e di traffico sessuale. Il rischio è di 15 anni di galera. O addirittura l’ergastolo. Una brutta storia, bruttissima.
Sean Combs è stato arrestato lo scorso 16 settembre mentre si trovava a Manhattan, al Park Hyatt Hotel. Il giudice non ha disposto neanche il rilascio su cauzione, perché ritiene che possa influenzare e manipolare i testimoni. Non appena il quadro ha cominciato ad essere chiaro, il ritratto che è stato fatto di P. Diddy è qualcosa di impressionante. È stato definito un predatore sessuale, un uomo che rendeva arrendevoli le sue vittime con alcool e droghe e ne abusava. Il suo status di superstar, di uomo famoso e potente, esercitava sulle vittime una sorta di timore reverenziale, che significava il silenzio, che calava su tutto ogni volta. Ma qualcuna di loro, evidentemente, ha tolto i veli su questa vicenda. Da qui è una stata una sorta di valanga. Le pagine di accusa, 14, sono destinate a crescere: finora hanno parlato 11 vittime. Thalia Graves, la più recente, ha parlato di una violenza sessuale avvenuta nel 2001 nel suo studio di registrazione, Daddy’s House. I particolari sono raccapriccianti.
Ma la storia non finisce qui. Non si tratta solo di ripetute violenze. Diddy e il suo staff avrebbero addirittura rapito delle persone, le avrebbero costrette a un “lavoro forzato”, avrebbero corrotto altra gente, provocato incendi. Oltre a girare con armi da fuoco cariche. Una pratica che, in certi ambienti musicali, è purtroppo in voga da tempo. Ma, a quanto pare risultare dalle indagini, questi comportamenti erano in atto da decenni.
Al centro di tutto ci sono le famose feste di P. Diddy, quelle che erano considerate un evento a cui non mancare, quelle a cui essere invitati era un privilegio. Quelle feste a cui tutti volevano partecipare e a cui oggi tutti negano di essere stati. Andavano in scena in grandi hotel, e venivano chiamati Freaks Off: durante questi incontri Combs avrebbe drogato le vittime e le avrebbe costrette a compiere atti sessuali prolungati con altri uomini, riprendendo tutto. Poi sono nati i White Parties, feste organizzate per i ricchi degli Hamptons. La sua idea era fondere lo stile di vita hip-hop, il suo, alle élite della East Coast americana. I ragazzi di Harlem accanto a Leonardo Di Caprio. Tutti sullo stesso piano, tutti vestiti dello stesso colore.
Il punto è proprio questo. In decenni di feste, P. Diddy di sicuro non era da solo. Come ricorda Paris Hilton, a quelle feste c’erano tutti. E allora lo scandalo legato al rapper potrebbe davvero dilagare e deflagrare tra lo star system e il jet set americano. A casa Diddy pare fossero stati visti Justin Bieber, Will Smith, Diana Ross, Owen Wilson. Si parla anche di Ashton Kutcher, Megan Fox, Jay-Z, Beyoncé, Mariah Carey, Usher, Khloe e Kim Kardashian e Jennifer Lopez. Si dice che proprio J-Lo, in passato legata a P. Diddy, possa avere un ruolo importante in questi fatti, o almeno essere molto informata. E che dietro al divorzio con Ben Affleck possa esserci proprio il legame con Combs. Ma l’elenco dei partecipanti alle feste è potenzialmente sterminato. E allora chi ha partecipato a questi atti sessuali? Chi li ha favoriti? Chi, semplicemente, ha osservato, sapeva e non ha detto nulla?
Le feste andavano in scena a New York, Miami, Los Angeles e Saint-Tropez. Spesso avevano la scusa di essere eventi benefici. Spesso avevano dietro grandi brand come sponsor: servivano a lanciare linee di profumi e bevande alcoliche. P. Diddy ora è in prigione, ma pare che l’intero star system stia tremando. Potrebbe arrivare un terremoto. Oppure, come spesso accade, potrebbe anche essere messo tutto a tacere, con Combs come unico capro espiatorio.
di Maurizio Ermisino
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DE ANDRÉ – LA STORIA 25mo anniversario
Published
11 mesi agoon
5 Gennaio 2024By
DailyMood.itLocation: Teatro Carcano – Milano
Data evento: 11 Gennaio 2024
Nell’anniversario della morte di Fabrizio de Andrè, al Tearo CARCANO di Milano, va in scena “De Andrè, la storia”, lo spettacolo-evento. De Andrè, La Storia è un vero e proprio viaggio musicale nell’universo di Fabrizio De André, il grande cantautore italiano scomparso l’11 gennaio del 1999, sempre presente nella memoria e nella cultura musicale italiana, che accompagna intere generazioni. “De André, La Storia”, è lo spettacolo sul cantautore più importante e influente della musica italiana che celebra, a 25 anni esatti dalla scomparsa, la sua opera. Lo spettacolo ha debuttato nel 2020 e, dopo una tournèè nazionale, approda a Milano, al Teatro CARCANO.
“Fabrizio De André è stato uno dei primi a portare la canzone italiana verso la modernità, ha cambiato le regole delle canzoni, ha mescolato la storia e l’intelletto con il canto popolare, il sacro e il profano, la cultura alta e bassa con una libertà di espressione senza pari – dice il direttore Musicale, Massimiliano Salani – poterne raccontare l’epopea musicale ed umana attraverso la sua musica, ma anche attrvaerso immagini e testi credo sia una grande sfida e un grande privilegio”.
Da Creuza de ma, a Non al denaro… da La buona Novella a Le nuvole, da Anime salve a l’Indiano, l’avventura musicale di De Andrè viene attraversata in uno spettacolo emotivo e coinvolgente, arricchito dalle immagini e dalle informazioni che lo rendono un vero e proprio concerto documentario.
Grazie a un grande interprete, una band eccezionale e video esclusivi, questo spettacolo ripercorre quindi quarant’anni di attività artistica di Fabrizio De André, raccontando un’epoca storica, il clima sociale e politico di un periodo, l’atmosfera e il sapore di un mondo e di come un visionario lo abbia attraversato, descrivendo magistralmente noi stessi, oggi.
La sua storia, la nostra storia.
“È una grande emozione poter lavorare e ideare uno spettacolo basato su una figura così imponente del panorama musicale e intellettuale italiano. L’arte e la musica svolgono nella vita delle persone un ruolo fondamentale, che Fabrizio ha saputo coniugare con una rara indipendenza e profondità di pensiero. Oggi De Andrè è più seguito ed amato che mai, le sue canzoni restano attuali, le nuove generazioni le assorbono e rimandano sui social, negli eventi.
Stiamo ricevendo un caloroso riscontro riguardo agli spettacoli che abbiamo in programma.
Abbiamo voluto dedicare questo spettacolo a un musicista e poeta visionario, proseguendo una ricerca che portiamo avanti dal 2003. Questo evento non è solo un modo per ascoltare i brani di Fabrizio ma anche una possibilità di celebrare la sua influenza storica e la sua continua conversazione con il tempo e con la contemporaneità.” afferma il regista e produttore Emiliano Galigani.
Uno spettacolo da non perdere! I biglietti sono acquistabili online (TicketOne).
Lo spettacolo è prodotto da Stage 11: il regista, Emiliano Galigani ha già realizzato, nel 2003 lo spettacolo musicale Circo Faber, con la collaborazione della Fondazione Fabrizio de André, di Dori Ghezzi e dello storico collaboratore di De André, Pepi Morgia.
Voce: Carlo Costa
Synth, minimoog, voce: Massimiliano Salani
Chitarra acustica, nylon, bouzouki, voce: Emmanuele Modestino
Chitarra elettrica, chitarra acustica, berimbeau, guitalele: Giacomo Dell’Immagine
Basso: Luca Santangeli
Flauto: Eanda Lutaj
Batteria: Alessandro Matteucci
Regia: Emiliano Galigani
Video: Domenico Zazzara
Prodotto da: Federica Moretti, Simone Giusti
Per Stage11
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Raffaella Carrà ci ha lasciato. Senza alcun segno di preavviso, in silenzio. La notizia è arrivata come un colpo a ciel sereno, totalmente inattesa. Aveva tenuto nascosta la sua malattia, probabilmente per non intaccherà quel senso di gioia, freschezza, libertà ed eterna giovinezza che la sua figura pubblica portava con sé, agli occhi di tutti, nell’immaginario collettivo, italiano ed internazionale.
E’ soltanto di qualche mese fa, del novembre 2020, l’articolo del Guardian che la incoronava “icona culturale che ha rivoluzionato l’intrattenimento italiano e ha insegnato all’Europa la gioia del sesso”. Parole che descrivono perfettamente ciò che Raffaella ha rappresentato per la società italiana e non solo, il ruolo fondamentale del suo personaggio, che ha saputo rompere tabù, creare e anticipare tendenze, sdoganare pregiudizi, giocare divertita su sessualità e sensualità.
La sua forza era la naturalezza. Quella naturalezza che l’ha spinta ad affrontare con caparbietà e disincanto dei tempi che stentavano a cambiare. Negli anni Sessanta-Settanta appariva, soprattutto agli occhi conservatori e benpensati, come una provocatrice scandalosa. Ma era “semplicemente” una donna che riusciva a spingere il suo sguardo oltre gli schemi sociali dell’epoca, senza paura dei giudizi, senza timore della censura.
Soubrette per eccellenza, nel senso più nobile del termine – non come lo si intende oggi… –, Raffaella Carrà è stata un’artista poliedrica, capace di cantare, ballare, recitare, condurre, stando alla pari con tutti, se non un passo, anzi dieci, avanti. Amata da tutti e da tutte le generazioni che ha toccato con la sua irrefrenabile simpatia e la sua dolce sensualità, negli anni non ha mai smesso di reinventarsi, di sperimentare, di mettersi in gioco.
Pochi lo ricordano, ma ha iniziato come attrice, diplomandosi al Centro Sperimentale di Cinematografia e recitando per tanti registi, da Carlo Lizzani a Mario Mattoli, da Mario Monicelli a Steno, e poi è esplosa in televisione rendendo il suo caschetto biondo, insieme ai suoi vestiti attillati e coloratissimi, un vero simbolo di libertà e sfrontatezza.
Ha lavorato e duettato con i più grandi dello spettacolo italiano, da Corrado ad Alberto Sordi, da Alighiero Noschese a Renato Zero, soltanto per citarne alcuni, e poi ha travalicato i nostri confini, conquistando le vette delle classifiche internazionali con le sue canzoni, diventate ormai immortali. E’ stato il “primo ombelico” del piccolo schermo, scandalizzando l’opinione pubblica, ha fatto innervosire il Vaticano con il suo “Tuca Tuca”, la sua discografia è ancora oggi l’inno per eccellenza dell’amore libero, del divertimento senza freni. “Tanti auguri”, “Ballo ballo”, “Fiesta”, “Rumore” sono soltanto alcuni dei titoli che negli anni sono diventati la colonna sonora dell’appagamento, della felicità, facendo ballare e conquistando il mondo intero.
Una colonna sonora che sicuramente continuerà a cadenzare anche le prossime generazioni, con i suoi ritmi coinvolgenti e i suoi testi semplici ma unici. Esattamente come lei, come la stessa Raffaella, inimitabile icona pop, che con una “carrambata”, una risata, un balletto, è riuscita con tenerezza ed esplosività ad appassionare, divertire, coccolare il suo pubblico, ad entrare nelle nostre case, a farsi considerare una di famiglia. Da tutti. “Pronto, Raffaella?”, ci mancherai…
di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it
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