Millennials Mood
Musica: chi ha paura del tormentone? Qual è la canzone dell’estate?
It Takes Two To Tango, diceva una vecchia canzone. E i fabbricatori di tormentoni di questa strana estate 2020 sembrano averla riascoltata al momento di trovare le alchimie per la perfetta hit dell’estate, un genere musicale a sé che negli ultimi anni, in Italia, sembra essere in gran spolvero. Quella canzone vuole dire che, per ballare il tango, bisogna essere in due. E così l’estate 2020, oltre che per una serie di cose che tutti sappiamo, la ricorderemo come l’anno dei tormentoni in duetto. Le strane coppie forgiate nella fucina dei facitori di hit (che sono un po’ come gli spingitori di cavalieri di cui parlava la Vulvia di Corrado Guzzanti su Rieducational Channel) sono davvero interessanti. Se i Boomdabash si riuniscono con Alessandra Amoroso sotto la bandiera del Salento, troviamo insieme Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, opposti che si attraggono, Elodie e la nuova stella del reggaeton Mariah, Baby K e Chiara Ferragni, e addirittura Tiziano Ferro e Jovanotti. Quanto al tango, non c’è nei tormentoni estivi: ma abbiamo reaggae, ragamuffin e reggaeton, un po’ di salsa e un po’ di flamenco, power pop, ma anche una miscela di twist e surf rock. Oltre a un ritornello che sembra… una canzone da chiesa! Leggete quali sono i tormentoni dell’estate. Qual è il vostro preferito? E quello che non sopportate?
Karaoke (Boomdabash e Alessandra Amoroso)
Squadra che vince non si cambia. E così i Boomdabash, dopo che due estati fa avevano duettato con Loredana Bertè e lo scorso anno con Alessandra Amoroso in Mambo salentino, ripropongono il sodalizio Made In Salento con la cantante lanciata da Amici, ormai diventata una loro grande amica. “Voglio l’aria di mare, il sole sulla faccia, tornerò a cantare sotto al suo balcone quando lei si affaccia” sono le prime parole di una canzone tra reggae e ragamuffin. Tra le strofe compare l’immancabile “lu sole, lu mare lu iento” che non può mancare in ogni canzone ambientata in Salento. Tra un flow e l’altro dei Boomdabash arriva la voce inconfondibile, acutissima, di Alessandra Amoroso, fino al grido di battaglia “Karaoke Guantanamera”. “Quindi se voglio cercare il karaoke di questa canzone dovrò scrivere: Karaoke di Karaoke” scrive qualcuno nei commenti su YouTube.
La Isla (Giusy Ferreri e Elettra Lamborghini)
Altra coppia esplosiva: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini sono lo yin e lo yang, il zenith e il nadir: l’ex cassiera esplosa con X Factor e l’ereditiera dell’impero automobilistico, la cantante dalla voce roca e rock e la regina del twerking. Opposites Attract, come cantava Paula Abdul, e allora eccole qua. A produrre ci sono sempre loro, Takagi & Ketra, quelli che negli anni con Giusy Ferrei sono andati prima nella favela e poi nella savana, La Isla, che parte con un giro di piano da salsa, evoca una fuga in un luogo esotico e isolato. Le due ragazze si dividono alla perfezione il compito: Elettra rappa e cantilena (“Dai papi non mi paghi l’affitto, vogliamo aprire un bar solo Mojito”), Giusy lancia il suo solito ritornello killer (“La notte vicino al faro il mare si accende, ti porto con me”, “Tu mi fai cantare, non ho più bisogno di niente”). Successo annunciato. Ma avete notato una cosa? “Se non fosse stato per quella lettera di differenza avremmo avuto Lamborghini ft Ferrari”, ha scritto qualcuno su YouTube…
Una voglia assurda (J-Ax)
Vorrei ma non posto, Senza pagare, Italiana, Ostia Lido: ogni anno, con la bella stagione, arriva J-Ax, con il suo rap-pop che mette alla berlina le manie e le cafonate di noi italiani. Una voglia matta, il suo tormentone del 2020, però, è qualcosa di nuovo: fa i conti con il Coronavirus, lo si capisce sin dalle prime strofe: “l’industria della musica è fallita, la libreria di Netflix l’ho finita, ora voglio fare binge watching alla vita” e “anche se rispetto la distanza, che tanto tutto passa, allora dimmi perché ho una voglia assurda di stare tra la gente e urlare come in curva, cantare Acqua azzurra nudi in riva al mare”. Con un ritmo trascinante alla Good Times degli Chic, con citazioni della storica Tranqui Funky dei suoi Articolo 31, Una voglia assurda ha un che di catartico, e coglie un po’ il sentimento di tutti. Come tutte le canzoni estive di J-Ax, anche Una voglia assurda nasce come una silly song, ma tanto sciocca non è…. E c’è chi commenta “Il cameo a Tranqui Funky mi fa scendere una lacrima a tutti i millennial che non hanno idea di cosa significhi quella strofa”…
Guaranà (Elodie)
Elodie ha ormai abbandonato il mondo di Amici di Maria De Filippi e la canzone melodica. La scorsa estate la sua via al tormentone era un reggaeton, torrido e sensuale, Margarita, con Marracash, una storia d’amore alcolica. Che torna anche qui, insieme alla voglia di fuga: “Cosa succederà, lasciamo la città, tequila e guaranà” canta Elodie su una musica disco, elettronica e minimale. E con un nuovo look, allo stesso tempo sexy e acqua e sapone, capelli con lunghe treccine nere, e sfilata di costumi da bagno da copertina di Sports Illustrated. Non a caso, su YouTube, pensando a lei, ma anche alle nostre quarantene, c’è chi commenta “L’unica pronta per la prova costume, praticamente”…
Il sudore ci appiccica (Francesco Gabbani)
Tra tante donne bellissime c’è anche lui, quello un po’ meno bello, ma simpatico. Francesco Gabbani aveva vinto a Sanremo, con Occidentali’s Kharma, nel 2017, e aveva conquistato anche le feste dei bambini dell’asilo. Lo scorso anno, con Un’altra cosa, Francesco Gabbani aveva trovato la sua via al tormentone, con i suoi soliti giochi di parole. Ci riprova anche quest’anno con Il sudore ci appiccica, altra filastrocca con un occhio alle nuove manie dei social “E comunque si balla, come bolle nell’aria, e si tagga la faccia, che si è riaperta la caccia”. “Il sudore ci appiccica, accipicchia” canta nel ritornello, con un piglio alla Edoardo Bennato e una base technopop. È una canzone che spopolerebbe al Festivalbar, se ancora ci fosse il Festivalbar… Per lui solo apprezzamenti nei commenti: “Gabbani scrive sempre grandi testi, è ironico e intelligente: non si amalgama al nulla dei competitors estivi. Mantiene la sua coerente originalità”.
Ciclone (Takagi & Ketra, Elodie, Mariah – Ciclone ft. Gipsy Kings, Nicolás Reyes, Tonino Baliardo)
E poi c’è chi, per fare il tormentone estivo, guarda al passato… Non alla musica del passato, ma al cinema, quello italiano degli anni Novanta. Parliamo de Il Ciclone di Leonardo Pieraccioni. Ricordate la scena del flamenco nel cortile del casale con Lorena Forteza e Natalia Estrada? Ciclone parte proprio da qui, e lo ripropone anche nel video, con Francesco Mandelli nei panni di Massimo Ceccherini. Gli artefici dell’operazione sono i Re Mida del tormentone estivo, Takagi & Ketra (quelli di Amore e capoeira e Jambo), che per l’occasione vanno a recuperare quel residuato anni Novanta che credevamo ormai perduto, la chitarra gitana dei Gipsy Kings… Le dichiarazioni d’amore sono aggiornate ai nostri tempi: “Scriverò di amarti sulle note di un’iPhone” canta Elodie, in vestitino bianco nei panni che erano di Lorena Forteza. Con lei c’è Mariah, astro nascente del trap-reggaeton internazionale, nata a Miami nel 1999, di origini cubane e portoricane. Ne sentiremo parlare a lungo. E c’è chi commenta: “”è agosto ma si gela” is the new “le domeniche d’agosto quanta neve che cadrà””…
Non mi basta più (Baby K special guest Chiara Ferragni)
Un altro esempio di donne che vanno in coppia è la nuova joint venture tra Baby K e Chiara Ferragni. Unico punto in comune: i capelli biondi. Per il resto, le due sono diverse, lo street style e l’eleganza, l’hip-hop e il bon ton. La canzone è a tutti gli effetti la nuova hit di Baby K, altra abbonata al tormentone estivo: Chiara Ferragni è nominata “special guest” e si limita a qualche breve frase. Se è vero che ha portato più visite agli Uffizi, starà portando like e contatti anche a Baby K. Il video vede le due in aeroporto, in partenza per le vacanze. Il testo è, al solito, ironico e ammiccante: “finestre nella chat coi sogni dei pacha, lo chiederò all’Estate non fare la stupida, se la felicità e un bicchiere a metà stasera mi ci tuffo mentre cerchi nelle app”. E ancora: “tu fra queste bambole sembri Ken ti ho in testa come Pantene, sei una ruota da lunedì fino al weekend” canta Baby K su una base lievemente reaggaeton. Mentre Chiara Ferragni… fa Chiara Ferragni. E c’è chi ironizza su “i soldi che ha guadagnato Chiara dicendo due frasi”…
Balla per me (Tiziano Ferro e Jovanotti)
Altra strana coppia che più strana non si può è Tiziano Ferro e Jovanotti. Il video è un mini film che inizia con Tiziano Ferro che ascolta in cuffia Jovanotti, a partire da La mia moto… Poi si reca davanti a un green screen e inizia il viaggio. Su una chitarra che profuma di Coldplay e una cassa in quattro quarti le voci uniche dei due cantanti si alternano fino ad arrivare a un ritornello stranissimo che sembra quello di certe canzoni di chiesa… I commenti su YouTube ci vengono in aiuto e ci fanno notare che “I più giovani non la ricordano ma il ritornello è uguale a “words don’t come easy” (cioè Words di F.R. David), ma anche Goodbye Yellow Brick Road di Elton John…
Bam Bam Twist (Achille Lauro)
Achille Lauro, con Bam Bam Twist, evoca sonorità passate, gli anni Cinquanta e Sessanta, il twist e il surf rock, i film di Tarantino (nel testo e nel twist di Pulp Fiction, che Claudio Santamaria e Francesca Barra ripropongono nel suggestivo video). Achille Lauro canta su un palco in completo glitterato d’oro che sarebbe piaciuto a certi grandi del rock, sussurrando un testo criptico pieno di riferimenti al cinema (“Malandrino, Chiodo giallo e zaffiro bluette, eh, È lo zoo di Berlino, La mia tipa è un vampiro ed è pazza di me, Sei più bella dal vivo, Lei che balla è la donna del boss, Davanti a un jukebox, Tarantino, E con quei bravi ragazzi è delirio, è De Niro”). Achille Lauro, ancora una volta, è abilissimo a prendere immaginari e frullarli per creare suggestioni. E la sua Bam Bam Twist è una sorpresa.
Ridere (Pinguini Tattici Nucleari)
La loro Ringo Starr, lanciata a Sanremo, è stato il tormentone di fine inverno, una delle ultime canzoni a farci sorridere prima del lockdown. Normale che i Pinguini Tattici Nucleari provino a farlo anche questa estate, con una canzone il cui titolo è tutto un programma: Ridere. Il video è uscito da qualche mese, in periodo di lockdown, e così è uno di quei montaggi che entra nelle case della gente, a suo modo commovente. “E un po’ mi fa ridere se penso che ora c’hai un altro che ti uccide i ragni al posto mio”, recita il testo, insieme a “Però tu fammi una promessa, che un giorno quando sarai persa, ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi”, cantano i Pinguini in una di quelle canzoni d’amore finito che un tempo cantava Venditti e oggi canta Tommaso Paradiso. Ma lo fanno con un suono power pop e una melodia dal taglio internazionale che non può non conquistare. Come il video. “Com’è possibile che abbia pianto per quaranta minuti? Il video ne dura solo quattro e la canzone si chiama Ridere” scrivono nei commenti…
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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“Et iam nox umida caelo
praecipitat suadentque cadentia sidera somnos”
[Virgilio, Eneide]
Era una notte del lontano milleottocentoventinove quando un pastore errante dell’Asia prese parola mirando la luna; si chiese cosa facesse, in cielo, così silenziosa. Le pose una domanda cui, ancora oggi, difficilmente troviamo risposta: Ove tende questo vagar mio breve?
Dopo il tramonto vediamo di meno, ma è in quel momento che cominciamo a cercare le risposte più celate. Leopardi aveva la luce di una candela a illuminare la mano e il foglio su cui dare forma ai suoi pensieri, oltre forse a qualche stella ferma o cadente che sia e quella silenziosa luna in cielo. Oggi è tutto artificiale, dalla lampadina ai fuochi. Uno scoppiettare d’onde elettromagnetiche create dall’uomo, di una lunghezza che cambia ogni secondo e che ne determina il colore che vediamo. Dopo il tramonto si accende la parte di noi che il sole ha tenuto calda e dormiente durante il dì. Si accendono le luci, i lampioni per strada, gli schermi dei nostri device ci proiettano nelle cornee il lavoro arretrato, il prossimo articolo, il messaggio di una persona cara. La notte è per molti l’unico momento libero della giornata; se si dormisse soltanto, se ne ridurrebbe il valore.
Si ha il tempo di rassettare tutti quei pensieri che durante il giorno son rimasti sottosopra. C’è il tempo di fare i bilanci della giornata appena trascorsa, di programmare la successiva, consapevoli che ci sarà sempre qualcosa di nuovo a rovinarla, o raddrizzarla. La notte è il momento in cui la testa non riesce a staccare la spina, oppure la stacca del tutto. A volte c’è anche bisogno di uscire a guardarle, le stelle, ballarci sotto finché le gambe tremano e la testa gira, fino ad esaurire l’effimero residuo di energia che forse non sapevamo nemmeno di avere. S’è quindi pensato o si è smesso di farlo, più o meno presto, più o meno spesso; ed è il momento in cui la testa diventa, per il collo, un macigno, e le palpebre come saracinesche che dicono sia arrivato il momento di chiudere, almeno per qualche ora. È rimasto irrisolto il dubbio del pastore; nel frattempo è diventato anche il nostro. E resterà nostro e irrisolto probabilmente anche domani; ed è ora che se ne aggiunga un altro.
Val la pena che il sole si levi dal mare e la lunga giornata cominci? Se lo chiedeva un uomo solo proprio come il pastore, per mezzo della penna di Pavese. Un imprevisto è la sola speranza, avrebbe risposto Montale, a distanza. E non è poco, né forse l’unico motivo per cui la mattina ci alziamo, chi contento chi meno, per affrontare una nuova giornata? Come dietro ogni pagina si legge la successiva, curiosi di come va a finire. Come dopo ogni episodio, si guarda con ansia il prossimo, curiosi di ciò che accadrà. Come dopo ogni livello si gioca il più difficile, per recuperare i punti e portarsi in vantaggio. Starete già storcendo il naso, ma Montale ha pensato anche a voi. Un’imprevisto è la sola speranza, ma mi dicono che è una stoltezza dirselo, è il finale completo di quella poesia.
Non s’è fatto in tempo a poggiare la testa; il mondo si è fermato, per noi soltanto. Si leverà il sole dal mare, comincerà la lunga giornata. Non resta quindi che pensarla un regalo prezioso, un tassello del puzzle che componiamo vagando a zonzo, con l’unico obiettivo di renderlo, alla fine, completo.
di Gian Marco Ragusa per DailyMood.it
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“Così fatti pensieri / quando fien, come fur, palesi al volgo, / e quell’orror che primo / contra l’empia natura / strinse i mortali in social catena, / fia ricondotto in parte / da verace saper, l’onesto e il retto / conversar cittadino, / e giustizia e pietade, altra radice / avranno allor che non superbe fole, / ove fondata proibità del volgo / così star suole in piede / quale star può chi ha in error la sede.”
(vv.145-157, La Ginestra, Leopardi)
Per quanto la nostra vita si possa semplificare su uno schermo, con una sinusoide spigolosa e qualche beep che indicano il numero dei battiti di un cuore che si gonfia e si spreme migliaia di volte al giorno, ci sarà sempre un filo appeso a qualcosa che da quando esiste uomo sulla faccia della terra nessuno sia riuscito a spiegare, che spinge ad alzare la testa ed aprire gli occhi ogni mattino. Quel filo si interseca con altri innumerevoli fili: nell’arco di una vita incontriamo un sacco di persone, basta contare gli sguardi incrociati: sull’autobus, al supermercato, a scuola, al lavoro, in auto. Intersecandosi il nostro filo diventa un gomitolo, che prende una forma diversa a seconda di quanti, di quali altri incontra, dell’ordine, del momento in cui li incontra. Interagendo con altri costruiamo la nostra vita. Pensate a quante parole, sorrisi, gesti hanno cambiato le giornate, inaspettatamente. Ogni nodo è una storia che resta. Con altri stipuliamo accordi, contratti, instauriamo rapporti. Condividiamo gran parte della nostra vita.
Innegabile è il fatto che i segni che lasciamo sono diversi per ciascuno, a seconda del tipo di legame che ci unisce. Innegabile è anche che per quanti colpi di forbice si possano dare, per quanto i fili si possano tirare e infine rompere, restano quei nodi più in alto o più in basso del gap che si crea; anche la forza e perfino le lame possono poco di fronte ad essi. Sarà, come sempre, un caso il fatto che il verbo latino ‘ligare’ (da cui il nostro ‘legare’)si associa a ‘lygein’,dal greco antico, abbracciare; e che diamo poi a questi nodi il nome di ricordi.
Quando ci si allontana per qualsiasi motivo, per scelta, per una lite o per morte che sia, resta questo. Restano vivi i nodi e le tensioni di quei fili, insieme alle abitudini, gli odori, i sorrisi e i malumori, il quotidiano tanto stretto che è difficile sfilarsi.
Se è un giovane, poi, che si leva di torno, questo resta, senz’altro. C’è da fare i conti, però, con ciò he porta via con sé; il suo crescere, ogni giorno, e prender forma a seconda del vento che soffia intorno. I sogni a volte strampalati che solo nella sua testa possono avere una trama credibile. Lo sguardo di chi è sempre in buona fede perché a esser cattivo per davvero non ha ancora imparato. Non importa il filo che lascia dall’altra parte del nodo. Si porta via questo e si chiude di nuovo a destra e sinistra per dar forma al suo gomitolo.
C’è da tenersi stretti, a chi legge decidere se interpretare metaforicamente o letteralmente. C’è da far tesoro del tempo che si trascorre con gli altri (che è la maggior parte, e non c’è il tasto per rivedere o rifare come con i film) c’è da prender tutto e setacciare, c’è soprattutto da mettersi in gioco e dare. C’è da esser consapevoli che da soli non si va da nessuna parte e che per ogni nodo, i lembi da legare, sono due.
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Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province,
ma bordello! [Purgatorio VI, vv. 76-78]
È periodo, questo, in cui non si placano le polemiche su ciò che riguarda il nostro Paese. Si parla di destra, sinistra, di partiti e coalizioni. Di fascismo e di democrazia, di buonismo e di intolleranza. Non è necessario, però, trattare di tecnicismi e partizioni politiche, e neanche, nello specifico, di questi argomenti. Accontentare tutti non si può: le idee che ognuno si è costruito, nell’arco della propria vita da cittadino, sono molteplici e differenti; c’è chi poi ne va particolarmente orgoglioso, e rischierebbe di fulminare lo schermo su cui legge coi soli occhi. Per evitare corse sfrenate ai negozi di pc, tablet e smartphones, quindi, è meglio mettere in chiaro altro, perché forse, ancora non lo è.
Partiamo dalla genesi: se repubblica significa cosa di tutti, viene spontaneo pensare che ognuno debba interessarsene, a trecentosessanta gradi. Come in una famiglia, in un’azienda, se ognuno fa il suo pezzettino come si deve, tutti stanno bene. Si lavora meno, si lavora meglio. Ora un passo in avanti: politica è l’arte di governare lo stato; o forse questo è solo il significato originale della parola, e bisogna riscoprirla un po’. È facile guardare l’erba del vicino – tanto si sa, sarà sempre più verde – e fermarsi lì, senza considerare altro. Allo stesso modo è facile dare la colpa agli altri: al mito del sistema, a chi governa, a chi si oppone.
‹‹E perché i politici non fanno nulla?›› ‹‹I politici? Mica la politica salva gli uomini.
E poi spesso è connivente con questo stato di cose.
Quello che conta sono le scelte dei singoli.
Sei tu la politica, ragazzo, le scelte che fai ogni giorno camminando su queste strade. […]››
[Alessandro D’Avenia, Ciò che inferno non è]
Se il politico è un’artista, come un’artista tiene conto del contesto storico e geografico in cui si trova, tiene i punti buoni, cerca di migliorare quelli che lo sono meno; se deve governare lo stato, mira all’interesse di tutti, non ai propri. Senza bisogno di specchi per le allodole, solo per sedere a quella poltrona. Se i giovani si presentano alle urne, ma ben poco convinti, il motivo sono le bufere che la politica scatena attorno a sé, quindi, senza averne tanta esperienza, l’unico modo per fare chiarezza sembra procedere per tentativi; d’altronde, non si può giudicare un libro senza averlo letto, né un quadro senza averlo visto. Nel frattempo, bisogna partire da sé: con la consapevolezza che la propria libertà finisce dove inizia quella di qualcun altro, e che se tutti rimanessero in questo confine, tanti dei problemi di cui ci tocca sentire alla radio, al mattino, andando al lavoro, sarebbero sostituiti dalla musica. Volenti o nolenti, con gli altri bisogna convivere; a che serve pestarsi i piedi dove c’è posto?
Basterebbe considerare il posto in cui viviamo come un regalo: trattarlo con cura, perché sappiamo cosa sia costato a chi ce l’ha lasciato; ed essere affiatati e uniti, come alla finale del 2006. Perché il futuro comincia oggi, e non è in altre mani, se non le nostre.
di Gian Marco Ragusa per DailyMood.it
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