C’era una volta la tivù, quella dei nostri genitori e dei nostri nonni. Quella che, almeno in casa, era l’unico media disponibile, l’unico schermo. Era in bianco e nero, ed era quadrata. Ed è proprio lì, dentro a quella tivù, che si trovano due dei nostri amati Avengers, Wanda e Visione, in WandaVision, la nuova serie tv disponibile su Disney+ dal 15 gennaio (ci sono i primi due episodi e gli altri arriveranno uno alla volta, ogni venerdì). WandaVision è il prodotto che, di fatto, apre la fase 4 del Marvel Cinematic Universe, che ora non è fatto solo di film, ma anche di serie tv. E che, in questa nuova fase, che arriva dopo i “definitivi” Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame, prova a spiazzarci, stupirci, a trovare nuove strade.
Nelle prime due puntate di WandaVision, infatti, troviamo Wanda Maximoff, alias Scarlet Witch, e Visione, due degli Avengers dai poteri eccezionali e innamorati tra loro, in una vera e propria sitcom in bianco e nero, un bianco e nero dal tono tenue, senza forti contrasti, proprio come quello della tivù di una volta. È lo stile della televisione degli anni Cinquanta, quello della seria Lucy ed io, con Lucille Ball e Desi Arnaz, o, se volte, di Vita da strega, arrivata in tv una decina di anni dopo. Wanda e Visione sono immersi in quel mondo. Non è solo il bianco e nero, gli abiti, lo schermo in 4:3, e le immancabili risate finte fuori campo. È che i due sono alle prese con missioni molto poco da Avengers. Anzi, si occupano solo di piccole cose quotidiane. Una cena in cui è invitato il capo ufficio di Visione con la moglie che, se tutto andrà bene porterà a una promozione. E un numero di magia, cioè di illusionismo, in cui i due protagonisti si cimentano per un evento di raccolta fondi.
Elizabeth Olsen, nel ruolo di una Wanda trasformata in una donna degli anni Cinquanta, è perfetta. Il suo volto pulito, angelico, è enfatizzato dalla pettinatura con i boccoli. Certo, in bianco e nero non spiccano, ma si intuiscono, gli occhi azzurro chiaro, che a volte si sgranano per stupore o ironia, i capelli biondi/ramati, il tratto distintivo della sua bellezza. E poi ecco il filo di perle al collo, gli orecchini coordinati e quegli abiti anni cinquanta, quelle gonne larghe, appena sotto il ginocchio, con la vita stretta che enfatizzano il suo fisico perfetto. Accanto a lei c’è Paul Bettany, che è, e rimane, un uomo senza tempo. Quello che era l’amico immaginario di Russell Crowe in A Beautiful Mind, il tennista protagonista di Wimbledon, sembra lo stesso di venti anni fa, senza alcuna ruga, con il viso perfetto, i capelli biondi e il sorriso smagliante. Anche quello fa molto anni Cinquanta.
WandaVision è divertente, e allor stesso tempo straniante e misterioso. È un prodotto con cui, finalmente, il Marvel Cinematic Universe muta, si contamina, si sposta in nuovi spazi e nuovi mondi. E in nuovi – ma anche vecchi – media. Per il suo esordio in quella che è la nuova tivù, quella delle piattaforme di streaming, si è tornati indietro, alla storia della vecchia tivù, quella dei primordi. Quella in cui tutto appare rassicurante, edulcorato, “ideale”. Eppure, in ogni minuto di WandaVision, c’è la sensazione di essere in realtà fuori dal tempo, o in un “tempo fuori luogo”, per dirla alla Philip K. Dick. Il tutto è spiazzante e misterioso. Perché quello schermo televisivo in bianco e nero e in 4:3 sul quale stiamo vedendo la storia potrebbe in realtà essere contenuto in un altro schermo. In che mondo sono i nostri eroi? Cosa ci fanno in una sitcom anni Cinquanta? Lo scopriremo solo vivendo. Cioè vedendo le prossime puntate, una alla settimana.
Le trame sono volutamente essenziali, minime, pretesti per lievi gag. Ma parliamo delle singole puntate, perché è chiaro che il “disegno” globale nel quale sono inserite è invece affascinante e complicato. E nei prossimi episodi verremo trasportati in altre età della televisione. “A te non preoccupa affatto che il pubblico possa capire che è solo una messinscena?” dice Wanda nello spassoso episodio 2, dove i due si cimentano in uno spettacolo di illusionismo, e si trovano a dover far della magia “finta”, in cui i trucchi si devono capire, invece che usare i loro poteri. Quando Visione, in qualche modo, li usa, Wanda fa di tutto perché il trucco del numero si capisca. Me è chiaro che quella frase sulla “messinscena” ha un significato molto più ampio nell’economia dell’intera serie.
Mentre qua e là, in quelle tipiche pubblicità anni Cinquanta che interrompono la narrazione, si trovano gustosi riferimenti al Marvel Cinematic Universe (il tostapane è prodotto dalle Stark Industries e l’orologio svizzero dalla Hydra, chiari riferimenti a Iron Man e Captain America), l’intuizione geniale delle prime puntate è che i grandi superpoteri dei nostri, in un contesto da tivù anni Cinquanta, possano diventare quegli ingenui tocchi di magia che poteva avere la protagonista di Vita da strega. WandaVision, nei prossimi tasselli del puzzle del Marvel Cinematic Universe, si intersecherà con altre serie e film come Loki, Spider-Man e Doctor Strange. Noi, intanto, abbiamo negli occhi quelle immagini in cui il nastro si riavvolge, come se fosse veramente quello di un programma, e in cui sprazzi di colore arrivano all’improvviso a colorare la scena. C’è una scritta: “Please stand by”. E una voce, una domanda a cui vogliamo assolutamente avere risposta: “Chi ti sta facendo questo, Wanda?”