A volte ritornano. E Álex Pina, il creatore de La casa di carta, la prima serie spagnola di Netflix che ha avuto un successo clamoroso, torna di nuovo tra noi con la sua nuova serie, la terza realizzata per Netflix (è disponibile dal 19 marzo) dopo la sua più famosa e dopo White Lines. Sky Rojo è la storia di tre donne, tre prostitute. Coral, Wendy e Gina lavorano in un bordello, il Club delle Spose. Per un motivo o per un altro, tutte e tre sono in qualche modo prigioniere di quella realtà. Ma un giorno provano a scappare in cerca della libertà. E si trovano ad essere inseguite da Moisés e Christian, gli scagnozzi di Romeo, il protettore e proprietario della casa di piacere. Le tre donne si lanciano in una corsa frenetica durante la quale devono affrontare mille pericoli. Il loro unico piano? Sopravvivere per altri cinque minuti.
Vi ricordate una delle famose frasi de La casa di carta? Era “Inizia il matriarcato”, pronunciata orgogliosamente da Nairobi. La casa di carta aveva colpito per la forza e l’empatia di alcuni personaggi femminili. E ora, con Sky Rojo, Álex Pina riprende questa idea e crea la sua prima serie interamente al femminile, un mondo dove le donne sono le protagoniste, le “buone”, e non c’è un uomo che si salvi. Sono tutti violenti, o pervertiti, o deboli. O, molto spesso, tutte e tre le cose insieme. Sky Rojo è prima di tutto una storia di solidarietà femminile, ovviamente alla maniera di Álex Pina, eccessiva, sopra le righe, violentissima. Coral, Wendy e Gina sono delle Thelma, Louise e Louise, in fuga da un men’s world, un mondo maschile per cui le donne altro non sono se non oggetti, passatempi e poco altro. Ma le tre donne vogliono provare a cambiare le cose.
Se c’è una cosa riuscita ne La casa di carta, e che era invece fallita in White Lines, era la costruzione dei personaggi e la scelta degli attori. Se nella serie ambientata a Ibiza i caratteri erano definiti male e abbinati a dei volti poco carismatici, nella serie del Professore e la sua banda invece personaggi e interpreti sono perfetti, tanto da essere entrati nell’immaginario collettivo. Il gioco, in Sky Rojo, per fortuna riesce di nuovo. Coral (Verónica Sánchez), Wendy (Lali Espósito) e Gina (Yany Prado) sono dei personaggi bellissimi, come le attrici che le interpretano. Hanno un volto, hanno un corpo, hanno anche un’anima e una storia. Coral è già alla sua terza vita: prima era una casalinga, e prima ancora una biologa. E ora ha una pericolosa dipendenza da farmaci e anestetici. Wendy arriva dall’Argentina (come l’attrice che la interpreta), da un quartiere di Buenos Aires dove non c’era posto per una lesbica. E Gina è originaria di Cuba (Yani Prado, la sua interprete, è proprio cubana), dove ha lasciato un figlio ed è arrivata in Europa con la promessa di una vita migliore, di un lavoro da cameriera, e si è trovata nel posto che sappiamo.
Le backstory delle protagoniste, i volti intensi delle attrici, e una direzione che le fa dare il massimo in ogni scena fa sì che ci si innamori subito di queste tre ragazze sfortunate e di buon cuore, traviate ma sognatrici, che si crei l’empatia e che si faccia il tifo per loro e per la loro rivincita, come fu per La Sposa di Kill Bill. Citiamo questo nome non a caso, perché c’è molto di Tarantino in questa serie di Álex Pina. Ma il pulp alla spagnola è meno geniale e raffinato di quello del Maestro americano. E così molte situazioni sembrano già viste, certe svolte di sceneggiatura appaiono forzate, scelte per colpire lo spettatore più che per essere funzionali al fluire del racconto.
C’è qualcosa che ci lascia perplessi nella visione di una serie (che, va detto, scorre velocissima con puntate di 25 minuti e un ritmo altissimo). In una storia che vuole raccontare la forza delle donne, la loro capacità di trarsi in salvo da sole in un mondo dove i principi azzurri non esistono più, c’è però un continuo, reiterato, forse compiaciuto uso di una violenza che, a tratti, ci sembra insostenibile. Certo, potrebbe essere funzionale alla storia, visto che l’obiettivo è denunciare un mondo maschilista ormai fuori da ogni tempo e ogni grazia di Dio che però è ancora duro a morire. Certo, dovrebbe essere anche virato in chiave pop e pulp, così eccessivo da diventare irreale, ma non ci sembra raccontato con l’ironia giusta. Eppure, nonostante tutto, abbiamo l’impressione che tutto questo sia usato prima di tutto per fare spettacolo, nella maniera più facile e diretta.
Se La casa di carta, a suo modo, metteva in scena un mondo duro, violento, ma attraverso una sorta di stilizzazione, in Sky Rojo non ci sembra si sia riusciti a trovare la chiave giusta per raccontare una storia di violenza senza eccedere. Ecco, al di fuori de La casa di carta, successo strepitoso che probabilmente ha sorpreso lo stesso Pina, sembra che il creatore della banda con le maschere di Dalì non riesca a mettere sempre a fuoco le sue storie e i suoi personaggi.
Quel filo rosso che caratterizzava gli episodi de La casa di carta, quello delle tute dei rapinatori, torna in ogni caso anche qui come trait d’union dei prodotti di Pina. In Sky Rojo il rosso è quello dei divani in similpelle (lo sky rojo del titolo) dove le ragazze si offrono ai propri clienti, dei rossetti con cui si imbellettano e si creano una maschera, e delle luci rosse sotto alle quali sfilano in quel girone infernale che è il Club delle Spose. Si può uscire da questo inferno? Lo scopriremo nella seconda stagione, già annunciata.