C’era una volta Christiane F., c’erano i ragazzi dello Zoo di Berlino. E c’era David Bowie, che in quella Berlino era rinato, aveva respirato aria nuova, e aveva fissato quella città e quell’epoca in una serie di capolavori, la sua Trilogia Berlinese. Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino è diventata una serie, dal 7 maggio su Prime Video. È un racconto che ci trasporta di nuovo lì, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta a Berlino. Siamo lì, ma in qualche modo, come vedrete, siamo anche in un limbo fuori dal tempo, in un’era indefinita. E allora la nuova serie Prime Video va vista, ma con l’idea di andarsi a vedere, o rivedere, Christiane F. – Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino, il film di Uli Edel.
Christiane F. – Noi i ragazzi dello Zoo usciva nel 1980, sconvolgendo una generazione di ragazzi – ma anche di adulti – e continuando a farlo nel corso degli anni. Ancora oggi, è un film di una potenza rara, di un realismo che ci lascia sconvolti e indifesi. Allora il film di Uli Edel aveva rivelato un mondo di tossicodipendenza e prostituzione, la vita senza speranze di tanti giovani nelle periferie delle metropoli. Berlino Ovest, 1975-1977: quella a cui assistiamo è una storia vera, è la vita di Christiane Vera Felscherinow, autrice del libro da cui è tratto il film. Siamo proprio negli anni in cui, a Berlino, David Bowie creava i suoi capolavori, la sua famosa Trilogia Berlinese (Low, “Heroes” e Lodger). La sua musica è l’anima del film, l’aria che respirano i personaggi, il tessuto connettivo, l’opera artistica che documenta un mondo e un’epoca. David Bowie aveva assorbito gli umori della città e l’ha fatta diventare arte, l’ha fissata per sempre nel tempo e nella Storia. Nel film di Uli Edel è fondamentale perché accentua le tentazioni e la disperazione di alcuni momenti, e in altri è catartica. In altri ancora funziona come un “Coro” alle storie dei protagonisti. David Bowie, tra l’altro, a Berlino era riuscito a sfuggire alla dipendenza dalla cocaina e alle paranoie che ne conseguivano, e che avevano caratterizzato la sua vita precedente, a Los Angeles.
Nella nuova serie Prime Video siamo in effetti nella Berlino di fine anni Settanta. Christiane (Jana McKinnon) vive con i genitori, sul punto di separarsi, e soffre terribilmente per questa situazione. Stella (Lena Urzendowsky) vive con la madre alcolizzata, che gestisce una birreria. Babsi (Lea Drinda) viene da una famiglia borghese, vive con la nonna, e immagina di parlare con il padre, morto anni prima. In questa nuova serie il racconto non riguarda solo Christiane, ma anche altri personaggi. Se, da un lato, la cosa è interessante, perché ci mostra la storia da altri punti di vista, dall’altro la serie a volte divaga troppo e si allontana dal cuore della storia. La Christiane F. del film era un personaggio scritto benissimo, perché era tratto dal libro, che era scritto da lei in prima persona. I personaggi collaterali, scritti per la serie, non hanno quella profondità, non hanno la stessa realtà, ma questo è inevitabile. Quanto agli attori, Jana McKinnon, che interpreta Christiane, dà vita a una ragazza sicura di sé, affascinante. L’attrice è bellissima e catalizza l’attenzione. Ma è molto lontana dall’immagine che abbiamo di Christiane F., una ragazza ancora acerba, insicura, impreparata.
La nuova serie Prime Video, insomma, è qualcosa di molto diverso. Dove nel libro e nel film c’era disperazione, degrado, una sporcizia che sembrava di toccare con mano, in cui si precipitava senza possibilità di tornare indietro, qui c’è molto edonismo, molto glamour. Unito ovviamente a una certa dose di disagio e insoddisfazione. Ma che non arriva mai completamente, mai nel modo duro che è nell’anima della storia, e che il film originale ci restituiva alla perfezione. I protagonisti sono troppo affascinanti: giacche di pelle, cappotti e giacche di velluto, pellicce e hot pants, stivali alti fino al ginocchio. Potrebbero essere dei ragazzi degli anni Settanta, ma anche dei ragazzi di oggi che vestono vintage, visto che il rock, più che stile di vita, è diventato ormai una moda. È un modo per ammiccare a un pubblico young adult, certo. Ma così si rischia di dare ai personaggi un’aura di fascino, mentre nel racconto originale erano disperati. Il rischio è che questo stile di vita possa affascinare, dove nel film disgustava e spaventava. In alcuni momenti, specie quando siamo nel club, il famoso Sound, abbiamo la sensazione di essere fuori dal tempo: la musica e il look potrebbero essere quelli degli anni Novanta o di oggi. E anche questo porta la storia un po’ più lontano da quel mondo in cui è nata. L’eroina, Berlino, il passaggio tra i Settanta e gli Ottanta erano un mondo ben preciso, dove quella storia aveva un senso.
E così anche David Bowie (che nel film appare alcune volte, impersonato da Alexander Scheer) in questa serie ha un senso diverso. Non ascoltiamo i suoi brani berlinesi, le sue hit e quegli strumentali cupi e atmosferici che rendevano unico il film. C’è piuttosto un suo greatest hits: Rebel Rebel, Starman, Changes, Suffragette City, The Jean Genie, canzoni del suo periodo glam rock, o ancora precedenti, che poco c’entrano con Berlino e con quegli anni. O Modern Love, in una cover, lenta e con una suadente voce femminile, che arriva dal repertorio anni Ottanta, dall’album Let’s Dance. Detto che, ogni volta che ascoltiamo David Bowie ci vengono comunque i brividi, è tutta un’altra storia. Guardate allora questa nuova serie, a patto di andare a recuperare il film originale, o il libro. Come diceva quella canzone, chiedi chi era Christiane F. E chiedi chi era David Bowie, quello di Berlino.