“Hai un dono”. “Ma io non lo voglio. Lo odio. Me odio”. Matilde risponde proprio così, con l’accento romano, a chi le dice che è speciale. Ha dei poteri unici, ma non vuole averli. Lei, ora, si sente solo un mostro. E così si sentono Cencio, Fulvio e Mario. Sono i protagonisti di Freaks Out, il nuovo, attesissimo film di Gabriele Mainetti, un film da vedere, perché in qualche modo può cambiare il cinema italiano. Freaks Out, scritto da Mainetti insieme a Nicola Guaglianone, arriva a cinque anni dal successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, che era stato il primo cinecomic italiano, la storia di un supereroe, ma calata profondamente nella nostra cultura, in questo caso nella periferia di Roma. Freaks Out va ancora oltre. È un kolossal che sta tra il cinema fantasy, il film di supereroi e il cinema d’avventura alla Spielberg che amavamo così tanto da ragazzi. Ma ha dentro anche tutta la nostra tradizione, dalle storie del Neorealismo a quelle della Commedia all’Italiana. Fino a qualche anno fa sarebbe stato incredibile solo pensarlo. E invece Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone lo hanno fatto.
Siamo a Roma nel 1943. Nel circo Mezzapiotta si esibiscono quattro persone molto particolari. Matilde (Aurora Giovinazzo) emana elettricità e accende le lampadine, Cencio (Pietro Castellitto) riesce ad ammaestrare tutti gli insetti, Fulvio (Claudio Santamaria) è una sorta di uomo lupo dalla forza sovraumana e Mario (Giancarlo Martini) attira il ferro come un magnete. Dentro quel circo si sentono al sicuro, sono le star, fanno il loro show. Fuori si sentono solo dei mostri. Quando il Circo viene distrutto dai bombardamenti dell’occupazione tedesca, i “fantastici quattro” si sentono perduti. Israel (Giorgio Tirabassi), il padrone del circo, è scomparso. E loro lo cercano. Ma c’è anche qualcuno che sta cercando loro.
Rendere credibile l’incredibile. È questa la poetica di Mainetti e Guaglianone. Prendere quattro personaggi “fantastici”, e calarli dentro un momento ben preciso della nostra Storia, l’Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre. Prendere quattro X-Men e farci sentire ben forte il loro disagio, i loro conflitti. I quattro “freaks” non solo hanno un problema con la loro identità, con il loro aspetto fisico e con un dono che sentono come una maledizione. Sono anche quattro figli senza un padre, dopo che Israel, sotto i bombardamenti, è scomparso. E solo accettando il distacco da lui potranno crescere. Supereroi con superproblemi, ma anche grandi poteri da cui derivano grandi responsabilità. I marchi di fabbrica della Marvel, la chiave per ogni storia di supereroi che lasci il segno, ci sono tutti.
Più riuscito è il cattivo, più riuscito è il film. Anche su questo siamo d’accordo. E, se Jeeg Robot è entrato nei nostri cuori grazie allo Zingaro di Luca Marinelli, Freaks Out fa altrettanto con Franz, il nazista interpretato da Franz Rogowski. Che è quanto di più diverso dal nazista monodimensionale di tanti film. Prima di tutto è anche lui un diverso, perché le sue mani hanno sei dita. E poi vive anche lui un conflitto interiore: vorrebbe combattere, essere un ufficiale, ma gli fanno fare il pianista al circo di Berlino. Ma Franz ha un suo superpotere: lui vede nel futuro, sa come finirà Hitler, sa di Norimberga. Vuole provare a tutti i costi a cambiare il corso della storia, e per farlo cerca i quattro freaks. Intanto, suona Creep dei Radiohead e Sweet Child O’Mine dei Guns’n’Roses come se suonasse Rachmaninoff. In fondo, è stato nel futuro e qualcosa di è portato dietro. Gli arrangiamenti di queste due canzoni sono due esempi del grande lavoro fatto da Michele Braga sulla colonna sonora. Come l’arrangiamento di Bella ciao con l’orchestra che entra sul canto dei partigiani, o il tema che accompagna il viaggio dei nostri quattro e ci riporta ad atmosfere della nostra commedia degli anni d’oro.
Perché, in quello che è un kolossal fantasy dal respiro internazionale, c’è tanto del nostro cinema. C’è un po’ dell’Armata Brancaleone, c’è Roma città aperta di Rossellini, con la corsa di Matilde dietro a un carro che riprende la corsa di Pina di Anna Magnani. C’è, ovviamente, tanto Fellini. La cosa eccezionale di Freaks Out è che riesce a fondere il meglio della nostra cultura con il meglio del cinema americano, come gli X-Men, Bastardi senza gloria di Tarantino, Big Fish di Tim Burton. E, soprattutto, quello stupore e quella meraviglia infantile che provavamo da ragazzi nel vedere un film di Steven Spielberg, di Robert Zemeckis e dei loro sodali. Freaks Out si muove in un cinema che, come italiani, non ci appartiene, e allo stesso tempo in un cinema che ci appartiene appieno. È un film che ha del miracoloso a livello creativo e a livello produttivo. Freaks Out è fiabesco, è onirico, è epico, è empatico. Perché, dopo le rincorse, gli spari, le esplosioni, le scintille, ti rendi conto di una cosa. Che a questi personaggi vuoi bene. E in fondo la chiave è tutta qua. E quindi ti accorgi che vuoi bene a questo film. Ora non vi resta che andare a vederlo. Perché, credeteci, Matilde, Cencio, Fulvio e Mario hanno bisogno di voi.