Non scappano per non morire, scappano per continuare a vivere. Sono donne di tutte le età che con ingombranti borsoni tra le mani e bambini appesi al collo, cercano di fuggire dalle barbarie della guerra. Sono anime che hanno dato tanto per il poco che avevano ma hanno ancora tanto da offrire.
Sono mamme che sono arrivante sofferenti al confine e che, sicuramente, non hanno mai privato i propri figli di un sorriso, nonostante avessero gli occhi spenti dalla paura. Sono viaggiatrici che ai piedi di un binario in una stazione ferroviaria, accerchiate da un pregnante odore ferroso e coperte da pezze di lana ormai malridotte, raccontano storie della propria terra, delle proprie tradizioni e delle loro case cancellate oramai dalla guerra. Sono brave cantanti che con la sofferenza nel cuore, cantano la ninna nanna ai loro bambini e sono romanziere che, strizzando forte gli occhi per non bagnarsi il volto, raccontano la storia dei girasoli piantati nel ‘96 per celebrare la rimozione della centrale nucleare. Sono ragazzine che hanno appena conosciuto l’Amore e già sono costrette a dirgli addio. Sono esperte ricamatrici che cercano di rattoppare i buchi che si sono creati nel tentativo di tenere insieme la trama del senso di appartenenza, nonostante il tessuto appaia ormai segnato dall’usura al punto da non reggere alcuna riparazione. Sono combattenti che scappano sole, lasciano tutto quello che hanno costruito, tutto quello per cui hanno sacrificato la propria vita, sapendo che di questo ne rimarrà un pugno di polvere.
Il male non porta ad altro male. Il dolore non porta ad altro dolore. Ogni volta che a un corpo viene applicata una forza, esiste un altro corpo che la esercita: è la terza legge della dinamica che stabilisce l’inevitabilità di una reazione rispetto ad un’azione subita. Si tratta di una legge non scritta che impedisce di starsene a terra aspettando che il tempo passi: non è la Metafisica di De Chirico, non è Il viandante sul mare di nebbia di Friedrich ma sono i tagli nella tela di Fontana. Si chiamano Attese ma non c’è tempo di aspettare: è il momento di prendere la materia e colpirla nel punto più debole, per estrapolarne tutta la potenza intrinseca e farla propria. Così, donne e ragazzine ucraine baciano i propri mariti, salutano i propri papà, stringono forte i propri figli o fratelli già cresciuti e si allontanano imponendosi di non guardare indietro.
Queste sono donne che oggi non vogliono essere festeggiate, perché la loro battaglia è appena cominciata.