“La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso non possiede”. È questa frase di Pier Paolo Pasolini a introdurci nel mondo avvolgente di Nostalgia, il nuovo film di Mario Martone con Pierfrancesco Favino, tratto dal romanzo omonimo di Ermanno Rea e presentato in concorso al Festival di Cannes. Il film è al cinema dal 25 maggio, ed è un’occasione da non perdere. È davvero il caso di perdersi, di sprofondare nei vicoli del Rione Sanità di Napoli, per un’esperienza immersiva. Non serve alcuna tecnologia per farlo: basta lasciarsi andare e affidarsi alle immagini di Mario Martone.
Felice Lasco torna a Napoli dopo aver vissuto molti anni in Egitto per rivedere l’anziana madre che aveva lasciato all’improvviso quando era ancora un ragazzo. Nella sua città si perde tra le pietre delle case e delle chiese del rione Sanità, nelle parole di una lingua che sente estranea, ma che in realtà̀ è la sua. Ritornano i ricordi di una vita lontana trascorsa con Oreste, il migliore amico d’infanzia con il quale condivide un segreto. Quando è evidente che Napoli rappresenta per lui una vita ormai perduta e che dovrebbe tornare al più̀ presto da dove è venuto, viene inchiodato dalla forza invincibile della nostalgia.
Nostalgia è una storia che ne contiene tante altre. È la storia di un ritorno a casa, e di un ritorno nel ventre materno. È la storia di un rapporto che si ribalta di una madre che ritorna bambina e un figlio che diventa genitore, e, in una delle scene più commoventi del film, la lava come se stesse facendo il bagno a un infante. È la storia di un uomo che prova a ritrovare le coordinate di un mondo, sulle mappe della città, ma soprattutto dentro se stesso, per capire chi è stato, e chi è oggi.
Non voleva tornare a Napoli, Felice. E oggi non se ne vuole più andare. È la nostalgia. La Napoli di oggi non sembra essere cambiata affatto da quella che Felice (Pierfrancesco Favino) ha lasciato a quindici anni. Le strade strette del Rione Sanità sono le stesse, quel mare in cui arrivare in moto è lo stesso. Felice compra anche la moto, come quella che aveva da ragazzo, e compra casa nei luoghi dove aveva vissuto. E sì, nonostante oggi sia cambiato, nonostante il parroco del rione (Francesco Di Leva) lo sconsigli, Felice prova anche a ritrovare quel vecchio amico, Oreste (Tommaso Ragno).
Il film di Mario Martone è pervaso da un senso di nostalgia che si respira fino in platea. Ma è anche pervaso da un senso di mistero, e avanza sospeso, minaccioso. Ci avvolge e ci fa sprofondare in una Napoli inedita – sembra impossibile per tutte le volte che è stata rappresentata al cinema, eppure così non l’avevamo mai vista – che ci avvinghia e ci cattura. È una Napoli che è una vera e propria protagonista del film, bella, ferita e ipnotica. Il Rione Sanità è un paesaggio stato d’animo. È un dedalo, un labirinto interiore dove cercare, a fatica, se stessi. Perdendosi per poi ritrovarsi.
Nostalgia è anche la storia di un incontro con il nostro passato e, allo stesso tempo, il nostro lato oscuro. Oreste è il “doppio” di Felice, è la sua metà oscura, è quello che sarebbe potuto essere, forse, se non fosse scappato da Napoli. È la sua sliding door. È, forse, la sua nemesi. È in sua presenza che, in fondo, ritrova il suo essere napoletano. Perché Felice, che ha passato quarant’anni all’estero – Beirut, il Sudafrica, poi Il Cairo – quasi non sa parlare più l’italiano, lo parla come uno straniero che arriva da noi, ha perso i termini e le cadenze. Ma è di fronte a Oreste che tira fuori di nuovo la cadenza napoletana, come se tirasse fuori qualcosa che è stato rimosso. Da questi aspetti si può immaginare – immaginare, certo, perché non si può spiegare, va visto – il grande lavoro che Pierfrancesco Favino ha fatto sulla parlata, sulla voce, sugli accenti. Quella di “Picchio”, ancora una volta è una prova enorme, e una delle più commoventi della sua carriera.
Mario Martone porta sullo schermo questa storia con un cinema che è allo stesso tempo rigoroso e passionale, costruito alla perfezione eppure sfrenato, emozionale. Viaggia tra il presente, fotografato in maniera nitida, e in quel passato filmato come se fosse girato con un vecchio Super 8 e con quella patina seppiata degli anni Settanta. Filma quel Rione Sanità che fu di Eduardo De Filippo dandogli una luce nuova, non celandone affatto i problemi ma donandogli dignità e poesia. Sono immagini, e sensazioni, che porterete a lungo con voi una volta usciti dal cinema.