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Life Is (Not) A Game. Intervista al regista Antonio Valerio Spera

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Presentato alla Festa del cinema di Roma nella sezione Freestyle, Life Is (Not) A Game è un documentario che vede protagonista la street artist Laika. Maschera bianca, parrucca rosso fluo, indumenti da “attacchina”, come si definisce lei stessa. Un film sull’arte, ma soprattutto un’analisi dei nostri tempi filtrata attraverso lo sguardo irriverente di quest’artista misteriosa. Un viaggio riflessivo negli ultimi due anni e mezzo di storia condotto dietro la macchina da presa dall’esordiente Antonio Valerio Spera.

DailyMood. Come nasce l’idea di questo film?
Antonio Valerio Spera. Mi incuriosiva molto la figura della street artist Laika. Trovai le sue prime opere affisse sui muri di Roma davvero interessanti ed originali. E in particolare mi intrigava il suo anonimato, la sua maschera, il suo look da “attacchina”. Ero sicuro che presto o tardi quest’artista sarebbe finita sotto i riflettori dei media e poi intravedevo delle forti potenzialità cinematografiche nel personaggio. Così le ho proposto di iniziare a riprendere il suo lavoro. Lei inizialmente era titubante, poi ha accettato ed è cominciato questo straordinario “viaggio” insieme.

DM. Un viaggio che vi ha portato anche oltre i confini nazionali…
AVS.
Sì, esattamente. Come si vede nel film, Laika ha affisso le sue opere anche in Bosnia, in Polonia e a Francoforte. Soprattutto il viaggio in Bosnia, sulla rotta balcanica, è stato molto importante per l’artista, e di conseguenza anche per il film. Laika ha deciso di partire, quando stavamo ancora lottando con il Covid, per riportare l’attenzione anche sulla questione migranti, ormai finita nel dimenticatoio causa pandemia. È stata un’esperienza fortissima, toccante, emozionante.

DM.È stato difficile entrare nel mondo di Laika, documentare il suo lavoro?
AVS.
Avere a che fare con una persona che vuole mantenere il suo anonimato e che in pubblico si mostra mascherata è stato inevitabilmente complicato. E non è stato neanche facile riprendere i suoi “blitz” notturni, quando andava ad attaccare le sue opere sui muri di Roma. E’ stata una bella sfida, ma anche grazie alla piena disponibilità dell’artista, alla fine siamo riusciti a portare sullo schermo il suo “mondo” e la sua arte.

DM. Il film non è un documentario “classico”, ha uno stile molto pop, un montaggio dinamico, delle musiche martellanti. Perché questa scelta?
AVS.
Il mio intento era cercare di rispettare lo stile della protagonista e di conseguenza ho cercato una strada estetica che potesse in qualche modo a rispecchiarlo. Così ho ricercato una varietà di stili, muovendomi tra forme più “pop” e momenti più da “cinema del reale”. Mi sono esposto a contaminazioni, suggestioni; ho inserito citazioni, qualche omaggio al cinema che amo. Credo sia uscito fuori un prodotto molto particolare, che non so se piacerà, però è quello che sentivo di fare.

DM. Che emozione è stata presentare il film alla Festa del cinema di Roma?
AVS. 
Un’emozione immensa. Abbiamo sempre pensato, con Laika e con i produttori del film, che la Festa del cinema di Roma fosse la vetrina perfetta per questo progetto. Perché Laika è romana e perché il film parla molto di Roma. Abbiamo ricevuto un’accoglienza calorosa alla première. E Laika, sotto la maschera, si è commossa.

 

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