Nel film del regista americano l’attore interpreta l’ingegnere Carlo Chiti, braccio destro di Enzo Ferrari.
Alla Mostra del Cinema di Venezia è il turno di Michael Mann e il suo Ferrari. Un progetto rincorso dal regista statunitense per venti anni, che oggi è diventato anche l’inizio del sogno americano di Michele Savoia, classe 1989, una carriera divisa tra i set di Me contro te, i musical, il teatro di prosa e la tv. Nel film in concorso per il Leone d’Oro è il braccio destro di Enzo Ferrari interpretato da Adam Driver, con cui divide la scena nei panni del mite e meticoloso Carlo Chiti, l’ingegnere che dal 1957 al 1961 entrò nella scuderia del Cavallino diventandone il principale progettista.
“Mi sono ritrovato su due set contemporaneamente, – ci racconta – finito di lavorare su uno prendevo un treno, tornavo a Roma e andavo sull’altro. Una volta mi è capitato di non dormire per tretntaquattro ore di fila”.
DAILYMOOD.IT: I teatri di prosa, i musical, il cinema dei Me contro te e la serialità. E un giorno è arrivato Michael Mann.
MICHELE SAVOIA: È la cosa più bella e divertente di questo mestiere. Credo che purtroppo in Italia ci sia molto pregiudizio, spesso noi artisti veniamo ingabbiati in categorie: l’attore comico, il caratterista, quello drammatico o solo di film per bambini. Se sei una cosa non puoi fare l’altra. Immagino che la notizia di me sia nel cast di Me Contro Te che in quello di Ferrari abbia destato tanto stupore.
Ma sono solo pregiudizi italiani, all’estero è diverso: puoi permetterti di giocare e divertirti con un personaggio in stile cartoon come quello di Pongo in Me contro te e poi lavorare su un film come Ferrari o passare al musical. Ho sempre studiato canto e danza sin da piccolo, quindi mi chiedo perché no? E poi nella vita sono una persona molto curiosa, mi piace sperimentare, conoscere, sono il classico tipo che se va in un ristorante prende sempre il piatto più strano. Nonostante sia molto difficile da portare avanti, questa varietà mi appaga, mi fa stare bene, mi elettrizza, dà vivacità al mio lavoro. È bello sfidarsi in ruoli totalmente differenti.
Non so perché in Italia si fatichi ad accetare questa varietà, forse c’è più paura di rischiare oppure perché, se pensiamo ad esempio alla commedia dell’arte con le sue maschere, siamo abituati a degli schemi fissi.
DM: E con Michael Mann come è andata invece?
MS: È stato tutto un sogno. La mia agenzia mi ha proposto e poi ho inviato un self-tape, di cui non ero neanche troppo soddisfatto, e invece mi ha richiamato per un provino in presenza. Sin da subito mi ha dimostrato grande entusiasmo, mi ha fatto i complimenti e mi ha tranquillizzato dicendomi che ci avremmo lavorato insieme. È una persona complessa per le mille sfaccettature che riesce a dare al suo lavoro quando dirige gli attori o gli altri reparti, per la determinazione, lo stupore, la precisione. Ha le idee chiare, ti dà un’indicazione, una frase che ti lacera, ti squarcia, ma che ti fa capire esattamente quello che vuole.
DM: La prima cosa che ti ha detto?
MS: Si è complimentato dicendomi: “You’re good, you’re very good” e lì mi sono sentito veramente bene. È stato molto accogliente, mi ha accolto con quel suo sorriso e modo di fare molto disordinato, per certi versi anche buffo, mi ha messo a mio agio e mi ha raccontato cosa volesse dal personaggio. All’inizio avevo un po’ d’ansia, poi invece abbiamo fatto la prima lettura con il cast principale: ero seduto allo stesso tavolo di Adam Driver, Penelope Cruz, Michael Mann, Patrick Dempsey e ho tremato. Appena ho realizzato dove ero mi sono detto: “Non è possibile!”, mi tremavo le gambe, per fortuna ero seduto altrimenti sarei cascato.
DM: Come hai superato questo senso di responsabilità e ansia?
MS: Anche Carlo Chiti era abbastanza ansioso, quindi ho canalizzato quell’ansia verso il personaggio. Era un’occasione unica, perché rovinarla? Alla fine ho cominciato a pensare che se Mann mi aveva scelto un motivo c’era e mi sono detto: “Divertiti Michele, vai, gioca!”.
DM: Conoscevi la figura di Chiti? E qual era l’idea di Mann?
MS: Non ne sapevo nulla, poi ho imparato che era una persona molto seria e dedita al lavoro, tanto appassionata, ci metteva anima e cuore, e questa sua dedizione gli provocava anche un po’ di ansia.
Ho visto video, letto libri e a Modena ho avuto modo di incontrare gente che lo aveva conosciuto, ma non sono riuscito purtroppo a contattare nessuno della sua famiglia. Alcuni suoi vecchi amici mi hanno raccontato che nel lavoro era una persona molto diligente, seria, professionale, fuori invece era molto divertente, simpatico, amava le barzellette, la compagnia. Mi sono lasciato guidare dalla scrittura, non ho forzato la mano per evitare il rischio di un’imitazione, mi sono limitato a stare lì, dentro l’azione, e a vivere attraverso le parole e la dramaturgia quello che mi veniva suggerito dal testo stesso e dal rapporto con Enzo Ferrari, con cui ho la maggior parte delle scene.
DM: Che effetto fa essere il braccio destro di Adam Driver?
MS: Chi l’avrebbe mai detto? Quando capisce di essere al sicuro, si lascia andare ed è quello che è successo con me; abbiamo condiviso anche dei momenti comici nelle pause tra un ciak e l’altro. Il giorno di mio compleanno stavamo girando una scena con lui e Patrick Dempsey, alla fine mi hanno cantato ‘Happy Birthday’.
DM: Michael Mann ha definito la realizzazione di questo film come uno studio antropologico, è stato un lavoro soprattutto sui luoghi in cui è cresciuto Ferrari. Tu in qualche modo da italiano partivi avvantaggiato. Su di te che suggestione hanno avuto?
MS: È stato bello avere un ponte con l’America, è il sogno di molti attori, ma avevo il privilegio di farlo in Italia: ho potuto mantenere le mie radici e mostrarle, anche se con un modo di raccontare tutto americano. E poi c’era l’emozione di recitare nei luoghi in cui tutto è successo.
DM: Chi era Enzo Ferrari prima di questo film e perché secondo te Mann ha deciso di fare un film sul periodo più buio della sua vita?
MS: Ha fatto una scelta molto giusta, perché con questo film mostra la parte più umana di Ferrari. Non sono un grande sportivo e non seguo molto gli sport, però da piccolo passavo pomeriggi interi a guardare la Formula 1 di domenica con mio padre, quindi è stato bello ripensare a quei pomeriggi, al tifo sfegatato per quella macchina rossa. È la stessa passione di Michael Mann: la vedevi nei suoi occhi quando ci dirigeva, brillavano di una luce simile a quella dei bambini che scoprono il mondo.
di Elisabetta Bartucca per DailyMood.it