È il 1 novembre del 1978. Una donna con un bambino viene fermata da dei malviventi, ma tira fuori una pistola e spara. Ma è solo il set di un film, Roma senza pietà. In quel film, come aiuto regista volontario, lavora Enea. E proprio quel giorno, mentre prova ad allontanare la folla, incontra lo sguardo di Pietro, un ragazzo che si trova a Roma per pochi giorni. Inizia così Nuovo Olimpo, il nuovo film di Ferzan Ozpetek, presentato alla Festa del Cinema di Roma e disponibile in streaming su Netflix proprio dal 1 novembre. Sarà una data che ritornerà, lungo gli anni, per raccontare la storia di questi due ragazzi che si perderanno di vista e si sfioreranno: 1 novembre 1990, 1 novembre 1993, 1 novembre 2015.
Nuovo Olimpo è titolo del film di Ferzan Ozpetek. Ed è il nome del cinema dove Enea (Damiano Gavino) e Pietro (Andrea Di Luigi) si incontrano poco dopo quel primo sguardo. Quei giochi di sguardi continuano e diventano qualcos’altro: un’intesa, una passione, non senza una prima ritrosia. Un incidente, durante una manifestazione, farà saltare un appuntamento, ed Enea e Pietro si perderanno di vista. Le loro vite andranno avanti, ma quel ricordo non svanirà mai del tutto. Pur condividendo la vita con altre persone, pur con una carriera avviata (regista uno, medico l’altro), arriveranno dei segnali che li riporteranno nel passato.
Con Nuovo Olimpo Ferzan Ozpetek celebra i vecchi cinema di una volta che erano non solo il luogo dove vedere film bellissimi che rimangono impressi tutta la vita. Ma anche come luogo di socializzazione, di amori clandestini e scambi fugaci. Cinema che si vivevano non solo in sala, non solo sotto lo schermo o sulle poltrone. Ma anche nei corridoi, dentro ai bagni. Erano quei cinema dove si entrava e si usciva, si andava in sala a spettacolo iniziato e si vedeva la seconda ora del film e la prima ora nello spettacolo successivo. Dove la cassiera di lasciava entrare anche senza biglietto se dovevi andare solo a vedere se c’era qualcuno.
Quello che arriva su Netflix con Nuovo Olimpo è sempre lo stesso Ferzan Ozpetek, ma è anche un Ozpetek nuovo. I toni del film sono quelli del mélo classico rivisitato con la sensibilità tutta particolare del regista, come è stato per tutta la sua carriera. I toni, intesi come colori, sono quelli caldi, pastosi, dominati dal rosso. I personaggi si muovono in una Roma, la Roma del centro, illuminata in modo che sembra davvero la città più bella del mondo, e non puoi non innamorartene, di giorno come di notte. C’è anche tutto il suo cinema basato sullo sguardo, sulle espressioni dei volti prima ancora sulle parole.
Ma l’Ozpetek che vedremo su Netflix è anche un Ozpetek nuovo. Sapere che il proprio film andrà su una piattaforma, dove non sono imposti divieti, lo rende più libero di osare. Ed è così nelle scene di sesso sfrenate e libere, nei nudi liberi e naturali, nella descrizione della passione. Se in alcuni suoi film molte di queste cose erano suggerite, qui Ozpetek prova a renderle più esplicite, tangibili. C’è un’atmosfera di sensualità, uno slancio che ci sembra superiore a quello degli altri film. E che avevamo già notato nella sua serie tv, Le fate ignoranti, non a caso un prodotto pensato proprio per una piattaforma.
La regia di Ozpetek ha dei momenti di gran classe. Come l’ellissi narrativa con cui, grazie all’apertura di un portone, ci porta dal 1978 al 1990. Come l’apparizione di Titti, la cassiera del cinema, in versione soprannaturale (una irriconoscibile e bravissima Luisa Ranieri ispirata alla Mina degli anni Settanta). O come il finale, con quella macchina da presa che rimane ferma a lungo su quell’angolo alla fine della strada E poi, facendoci attendere ancora, torna indietro e, con grande suspense, ci mostra un what if.
È un gran bel finale di un film che affascina, avvolge, appassiona. Ma che lascia anche perplessi in alcuni aspetti. È vero che Ozpetek vuole raccontarci amori che durano tutta la vita, e che questa idea è molto romantica. Ma è anche vero che alcuni snodi narrativi risultano un po’ forzati e che a volte sembra davvero poco credibile che i due ragazzi non riescano a rintracciarsi e ritrovarsi l’uno con l’altro. Così come ci sembrano acerbi due dei tre attori chiave nei ruoli maschili. Damiano Gavino è il più sicuro ed espressivo, un attore completo, mentre Andrea Di Luigi e Alvise Rigo (è Antonio, il compagno di Enea) sembrano ancora acerbi. Ma assicurano al film sensualità e freschezza. Aurora Giovinazzo è molto intensa nel ruolo di Alice, amica, e forse qualcosa di più, di Enea, e Greta Scarano è convincente nel ruolo di Giulia, che diventa la moglie di Pietro. Tutto allora è funzionale a farci arrivare il messaggio del film. Il passato più è lontano più sembra bello.